TRAMA
Mrs. Munson affitta una camera al Professor Dorr, che si dichiara dilettante di musica antica e ottiene il permesso di usare la cantina dell’anziana vedova per provare con il suo ensemble. Ma ben altri sono i piani dell’inquilino…
RECENSIONI
Tutto (non) scorre placido lungo il padre Mississippi: uccelli e gargoyle contemplano con occhio ingannevolmente distratto il fluire delle scorie umane verso la meta ultima e inevitabile. Solo l'amore (come sempre più forte della morte) permetterà alla grossa e flemmatica eroina di trionfare del Mefistofele in completo bianco che bussa alla sua porta: l'angelo troverà il suo Paradiso terrestre, sotto il sorridente patrocinio del Fato (materializzato da un irresistibile, infernale felino). Struttura limpidamente circolare, impeccabile tessuto di citazioni (da Edgar Allan Poe ai Jefferson, passando - neanche il caso di dirlo - per la commedia classica innaffiata di giallorosa), dialoghi appuntiti, caratteri a orologeria (letteralmente): Ladykillers ha tutto quello che serve a rendere furibondi o felici (voi sapete come collocarvi) gli habitué del cinema dei Coen. Prima e più ancora che un rifacimento del film di Mackendrick (1955), infatti, l'ultima opera dei fratelli è Coen allo stato puro: in una provincia profondissima e profondamente oscura (malgrado le tinte pastello), il Male si presenta sotto mentite e improbabili spoglie, dando vita a un apologo (a)morale il cui acidissimo scioglimento non produce una catarsi ma un riso beffardo, complice, sommamente ambiguo. Beati i ricchi di spirito (santo e/o pratico), perché loro è la grana terrena (e verosimilmente anche quella celeste): gli altri (solo illusi di essere altrettanto, se non più dotati) se ne vadano pure a morire ammazzati (ancora una volta, alla lettera).
Film minore, si dirà. Probabilmente. Ma un grande film minore, traboccante di idee e verve non solo sul piano verbale (scontato o quasi, chez Ethan e Joel: ogni scena è un fuoco di fila di graffiante ironia, tanto più perfida quanto più accuratamente ricoperta da una studiatissima patina sboccata) ma anche su quello visivo: la presentazione dei complici del Professore dà origine a minifilm disorientanti e spassosi (da applausi le soggettive di Lump, riprese in un prefinale non lontano da quello di Intollerable Cruelty), la sequenza del colpo è orchestrata con gusto e condotta con polso (non senza gustose annotazioni a margine), le ansie e le smanie della variopinta gang sono veicolate tanto dall'eccelsa prova di un cast superiore a ogni elogio quanto da sogni a occhi aperti/chiusi, ricordi personali e non, istanti grotteschi che la macchina da presa tratteggia con ammaliante distacco. Tutt'altro che perfetto (soprattutto nella seconda parte, in cui la regia fatica a reggere il passo incalzante dello script e il meccanismo si mette a scricchiolare), Ladykillers è comunque gioia per gli occhi [e per le orecchie, ammesso che il doppiaggio italiano riesca a produrre una timida eco della colonna sonora originale (ho i miei dubbi in merito)] e balsamo per lo spirito (in ogni im/possibile senso).
La multinazionale Coen & Coen imbocca una crescita all'incontrario, abbandonando definitivamente la fase adulta; è chiaro e lampante come l'azienda di famiglia ormai voglia solo divertirsi (/arricchirsi?), acchiappando il classico di Mackendrick datato 1955 per piegarlo ludicamente alle proprie esigenze. Dopo l'innocuo sollazzo di Prima ti sposo poi ti rovino, qui si va sul sicuro: il remake è cucito con precisione epidermica, cucinato in salsa moderatamente americana, avvolto nel caratteristico coenismo citazionista e stravagante, servito infine allo spettatore aggirando qualsivoglia pretesa. Dopo unintroduzione affidata al silenzio delle immagini scoppia immediatamente la fluviale dialogistica cui l'azienda di famiglia ci ha adeguatamente abituati: questa si allunga su tutto il film, mantenendo l'amabile fondale stereotipico dei caratteri ma senza le prove attoriali dell'originale (due nomi qualsiasi: Guinness e Sellers). L'acuto si chiama ancora una volta Tom Hanks, ladro gentiluomo all'occasione filosofico e spassosamente gigioneggiante, che scalza il feticcio-Clooney nel postulato coeniano, recando inoltre in dote l'arte della recitazione. Non che faccia molto, per la verità, ma la parte su di lui ritagliata è l'unica che davvero buca lo schermo, costruendo il reale scheletro della pellicola: l'incontro/confronto/scontro con la sua padrona di casa, una caracollante Irma Hall nelle vesti di autentica mattatrice (da notare i pompatissimi innesti sulla coppia tette + culo). Le due anime del film, tra loro contrapposte, calpestano lo spazio dei comprimari ridotti a materiale di contorno, spesso furbescamente modellati sul passo dei tempi (la satira a proposito dell'hip-hop, cui è contrapposta una soundtrack tutta giocata sul gospel
Non mancheranno gli adoratori nostalgici: la lontananza dalla perfetta ri-costruzione del genere di Crocevia della Morte e dalla vetta macabro/umoristica detta Fargo (ma anche dal loro ultimo, vero e crepuscolare capolavoro: L'Uomo che non c'Era) si allarga in forma d'abisso, nella memoria di un cinema che spiegava le ali ma ora ripiega sullo stato primigenio. The Ladykillers è un'operazione dal carattere meticolosamente costruito e l'occhio calcolatore, che lavora di accetta sull'idea filmica dei due autori sfrondandola sino all'osso; impegnata su un progetto altrui (e giocando verosimilmente a superarlo), la coppia riversa nell'ultima fatica non un piano elaborato (in quanto preesistente) né una bomba ad orologeria, ma semplicemente le sue istintuali fantasie, l'intuizione momentanea, il piacere di deviare altrove. All'interno di una pellicola potenzialmente restrittiva i Coen mostrano cosa sanno (/vogliono) fare, finalmente a nudo ed armati soltanto della loro (doppia) testa. L'accusa di programmaticità è dietro l'angolo, ma troverete momenti tanto coeniani quanto irresistibili: l'incredibile predica urlata all'interno della chiesa, il personaggio di Mountain Girl, il gatto di Mrs. Munson... E ancora le citazioni: i classici greci (Fratello dove sei?), Edgar Allan Poe (e la sua poesia Il corvo, per ovvi motivi), la morte di Joe Fischietto e tante altre da divertirsi ad impallinare. Ma il veleno è nella coda: l'inizio e la fine, entrambi sulla stessa 'barca', disegnano un'impagabile chiusura del cerchio studiata col bilancino, che congeda la platea in legittima paresi facciale. Apologia del caso? Caso dell'apologia? Oppure Qualcuno davvero veglia su di noi...