Recensione, Spionaggio

LA TALPA

Titolo OriginaleTinker Tailor Soldier Spy
NazioneFrancia/ Gran Bretagna/ Germania
Anno Produzione2011
Durata127'
Tratto dadal romanzo di John Le Carré
Scenografia

TRAMA

1973. Il servizio segreto britannico sta faticosamente tentando di tenersi al passo con lo spionaggio degli altri paesi e di garantire la sicurezza al Regno Unito. Il capo dell’Intelligence, noto come Controllo, manda personalmente l’agente speciale Jim Prideaux in Ungheria. Ma la missione di Jim va sanguinosamente a monte…

RECENSIONI

Alfredson, il regista svedese di Lasciami entrare, affronta da straniero, l'inglesissima spy novel di John Le Carré (pseudonimo di David Cornwell, diplomatico e - lo ha infine dichiarato in una intervista televisiva alla BBC nel 2000, anche se lo si sapeva da tempo - spia egli stesso in giovane età), già ispiratrice di una venerata serie televisiva con Alec Guinness e al centro di un ciclo dedicato all'antieroe George Smiley (qui un calibratissimo Gary Oldman), introverso e solitario agente (siamo agli antipodi del glamour di Fleming e del suo James Bond) che opera durante gli anni della Guerra Fredda: il labirintico romanzo, uno dei classici del genere, viene letteralmente reinventato per il grande schermo (Le Carré ha affermato: Non è il film del romanzo. È il film del film (...); ciò che Alfredson ha realizzato è meravigliosamente suo), senza peraltro semplificare un intreccio che viene reso in immagini in tutta la sua complessità.

Il fallimento di una missione in Ungheria obbliga Control, il capo dell'inteligence del servizio segreto britannico (il Circus, in codice), a lasciare il suo posto, assieme al luogotenente Smiley. Smiley viene successivamente riassunto dal governo perché scopra se tra gli agenti del Circus, come già sospettava Control, si annidi una talpa al servizio di Karla (nome in codice del capo del KGB). Il titolo originale prende lo spunto da una filastrocca (tinker, tailor, soldier, richman, poorman...) da cui Control trae gli pseudonimi da attribuire agli uomini del Circus, pezzi di una scacchiera (non solo metaforica) di sospetti ed ipotesi sulla quale si gioca una partita mortale. Control, da capo intransigente che non esclude alcuna ipotesi, vi ricomprende lo stesso Smiley e l'agente, scoprendolo durante le investigazioni (Control è oramai morto), ammira l'inflessibilità del suo capo, di cui la propria è il riflesso perfetto.

Per trovare il traditore, Smiley vaglia tutte le attività passate del servizio: l'investigazione del protagonista dà l'avvio a una serie di flashback che si muovono su vari livelli temporali e che compongono un complicato quanto fascinoso mosaico tramico nel quale la risoluzione dell'enigma (l'identità dell'infiltrato) è solo il termine di un tormentato procedimento di indagine che si sviluppa ad ogni livello e in molte direzioni, intrecciando la stessa vita privata del protagonista (splendida l'idea del film di lasciare la moglie di Smiley, Ann, nell'ombra, senza mai mostrarla, nonostante si riveli nodo decisivo della vicenda) e in cui la scoperta della verità, la soluzione del caso, la rivelazione delle doppiezze (anche sessuali [1]) per Smiley coincideranno con un'agnizione dalle conseguenze personali devastanti. La componente umana è un elemento decisivo e peculiare della storia, del resto: al di là della grandiosità dello scenario sul quale le figure si muovono, che è quello delle lotta mondiale combattuta tacitamente dai servizi segreti, ciò che emerge dalle vicende è un sottile quanto universale intreccio di umanissimi doppi giochi, scorrettezze, passioni, debolezze legate al carattere e all'intimità dei personaggi (Le Carré: la storia non è molto lontana dagli scenari di vita aziendale, dal mondo normale). L'agente segreto di Le Carré (e di questo film) è insomma un essere malinconico, dedito completamente a una missione, di cui a volte non comprende lo scopo, e che, rinunciando alla propria vita, si traveste facendosi carico di un'altra che non gli appartiene.

Tomas Alfredson ritaglia magistralmente gli spazi esaltandone le algide geometrie, mette la sua macchina da presa al servizio di una storia in cui l'azione non è quasi mai mostrata, ma presupposta o già avvenuta; alla tela intarsiata dal regista, su una sceneggiatura che condensa senza sminuire, lo score di Alberto Iglesias conferisce un surplus di sospensione e vaghezza decisivo. Un film che colpisce per il registro visivo, polveroso e virato sui toni bruni e marroni, una confezione ovattata funzionale alla neutralizzazione della dimensione spettacolare a tutto vantaggio di quella dialogica. Di qui l'impressionante messe di informazioni, nomi a profusione, uso di un gergo mai esemplificato: nessuna spiegazione posticcia, la storia si sviluppa, senza forzature e informazioni inoculate pretestuosamente, sui diversi piani temporali mai annunciati con clamore, solo suggeriti con continue ellissi.
È un lavoro complesso, La talpa, che richiede un pubblico attento e motivato e che, proprio per la sostanziale difficoltà - il fiero condurre la sua partita senza fare mai il facile gioco dello spettatore, costringendolo, anzi, a concentrarsi e a ricomporre i pezzi (è un film che si riproporrà nella testa anche nei giorni successivi alla visione) -, si afferma, in un'epoca di semplicità conclamata - in cui tutto deve essere chiaro, didascalico, leggibile - come un imperdibile, raffinato oggetto demodé.
Cameo dello scrittore nella scena-fulcro della festa (non presente nel volume...).

[1] Guy Burgess (storica spia inglese al servizio dei sovietici, impersonata, fra gli altri, da Rupert Everett in Another Country di Kanievska e da Alan Bates in An englishman abroad di Schlesinger) è in questo senso l'esemplificazione perfetta del tradimento che l'alta società, quella uscita dai prestigiosi college britannici, operò all'epoca nei confronti della Patria. In un'intervista di Irene Bignardi del 1986 Le Carrè afferma: Fin da giovanissimi hanno dovuto nascondere la loro non ortodossia sessuale. E la loro non ortodossia politica ne è diventato un contraltare, un’espressione intellettuale.