Drammatico, Recensione

LA STRADA VERSO CASA

Titolo OriginaleWo de fu qin mu qin
NazioneCina
Anno Produzione2000
Durata100'
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Scenografia
Costumi
Musiche

TRAMA

Lou Yasheng torna dopo anni al suo villaggio: suo padre, maestro della scuola locale, e’ morto. La madre vuole che la celebrazione del funerale sia fatta secondo tradizione, col trasporto a braccia del feretro dall’ ospedale al cimitero del villaggio. Il ritorno ai luoghi natii porta Lou a rievocare la storia d’amore dei suoi genitori.

RECENSIONI

Zhang Yimou ricicla se stesso e ci offre l'ennesima storia di testardaggine femminile. La novita', triste, sta nella scelta di un registro hollywoodiano, lontanissimo da quello rigoroso che lo ha reso giustamente famoso nello scorso decennio. Messe da parte le perfette geometrie di Lanterne rosse (ancora oggi il suo fiore all'occhiello), le avvolgenti cromie di Ju Dou, l'affresco evocativo di Vivere!, abbandonato anche il minimalismo a suo modo efficace del penultimo Non Uno di Meno, sforna una variazione pomposa de La Storia di Qiu Ju, tutta giocata su dissolvenze incrociate, grandi movimenti di macchina, musiche a palla, immagini rallentate, fotografia sontuosa. L'operazione e' cosciente, lucida: la partecipazione alla produzione di una major come la Columbia dice che niente e' avvenuto per caso. Sulla carta vi era la possibilita' di una seria riflessione sul cinema di consumo, la possibilita' per il regista di confrontarsi con il mostro della grande produzione uscendone con una versione personale dei film ad alto budget, una sorta di freddo melodramma d'autore. Nulla di tutto questo: il cinese, nonostante gli evidenti propositi (quel manifesto di TITANIC che appare a un tratto e' un'ovvia dichiarazione di intenti, oltre che un presagio "romantico" alla mielosa storia che seguira' di li' a poco) e l'indubbia maestria, si perde tra gli stereotipi, le immagini patinate e il sentimentalismo piu' convenzionale: non fa la versione hollywoodiana di un film di Yimou, ma un film banalmente hollywoodiano alla maniera di Yimou, non lasciando emergere il suo indubbio carattere registico ma anzi soffocandolo in un calligrafismo francamente stucchevole. La Strada verso casa sembra dimostrare ancora una volta come l'autore, lontano dalle sue corde naturali, si perda facilmente in operazioni fallimentari e impersonali, distanti mille miglia dai cristallini traguardi che, in piu' di un'occasione, ha dimostrato di saper raggiungere. La Triade di Shangai era solo luccicante, vuota accademia, Keep Cool un tentativo sfrenato di pulp in salsa cinese, con sprazzi da "nuova" nouvelle vague (!) piuttosto imbarazzanti: anche quest'ultimo e' il piatto asservimento del regista pluripriemato a un nuovo cliche', quello del drammone strappalacrime, laccato e un po' volgare. Siamo certi che l'autore avesse ben altri obiettivi e molti li hanno ritenuti raggiunti, stanti i pareri favorevoli e l'Orso d'argento vinto a Berlino. Ma se e' vero com'e' vero che la Berlinale e' solo un feudo delle case di produzione americane, i conti tornano.

A un presente in bianco e nero, dove in un piccolo villaggio cinese fervono i preparativi per un funerale, si alterna un passato colorato, in cui i ricordi ricostruiscono la nascita di una storia d'amore. In fondo "La strada verso casa" non si discosta molto dal precedente "Non uno di meno", dove Zhang Yimou raccontava l'ostinazione di una ragazzina per il compito che le era stato assegnato di maestrina della scuola che non doveva perdere nessun alunno. In questo caso l'ostinazione della protagonista e' nei confronti del sentimento che prova verso il giovane maestro del villaggio. Un'amore forte, sicuro e determinato che la portera' a un risultato di quarant'anni felici di matrimonio e ad un figlio che vive lontano, in citta'. Nonostante il tema forte e la capacita' del cinema di rendere giganti le storie grazie alla valorizzazione del dettaglio, Zhang Yimou non riesce a rendere epico e universale l'amore raccontato.
Se i protagonisti fossero Richard Gere e Winona Ryder, il rapido commento sarebbe "la solita polpetta", ma bisogna riconoscere al regista la capacita' di filtrare una classica storia polpettona attraverso le radici della sua cultura. Ed e' bello riscoprire piccoli gesti quotidiani dimenticati nella fretta a cui siamo abituati, come la cura meticolosa con cui Lou prepara il cibo per il suo amato o la paziente attivita' dell'uomo che gira per il villaggio riparando cocci. Il cinico occidentale apprezza la semplicita' dei gesti, la riscoperta del silenzio, la dolce determinazione della protagonista, ma fatica un po' a lasciarsi andare a un amore che diventa l'unica alternativa a una vita a fare ravioli accanto alla madre cieca. E il tono enfatico con cui l'amore descritto viene esaltato, sottolineato da una colonna sonora un po' ruffiana, non fa che aumentare il cinismo occidentale. Sara' questione di fatica ad entrare in una cultura diversa, ma il taglio in fondo poco problematico e soprattutto celebrativo con cui Zhang Yimou descrive un amore, non riesce mai a diventare struggente e la potenza del cinema scivola via con i titoli di coda.