TRAMA
Una prostituta milanese preleva la figlia affidata alle suore e la porta al mare, vicino a Sanremo, preoccupandosi che nessuno la riconosca. Finisce in un albergo di lusso e…
RECENSIONI
Nel lungo prologo, esile e delicato nel descrivere l’affetto di una madre verso la figlia, si percepisce già la tragedia a venire, come nel precedente Senza Pietà, sempre incentrato su di una lucciola dal cuor buono. Lattuada, però, ritarda l’evento, preferendo fustigare l’ipocrisia della morale borghese. Bastano due carrellate sugli ospiti dell’albergo, esaustive e totalizzanti: quella della prima cena e quella che descrive le “fasi preparatorie” delle donne prima dell’uscita serale. Snob, ragazzine viziate, gretti arricchiti, mogli avide, mantenute e pettegole, lacchè e viscidi. La “creme”, l’alta classe della nostra società, tutta schierata contro colei che rappresenta, con la sua professione, lo “scandalo” ma non lo impersona bene come i suoi detrattori. È il mondo che la circonda a prostituirsi: lo dimostra il memorabile apologo finale, fra i più cinici visti al cinema, dove ci si sveste delle illusioni dell’idealista che vuole cambiare l’umanità (il sindaco) inchinandosi al vero potere, quello del successo e del denaro, che incute il rispetto e l’invidia della maggior parte degli esseri umani. La figura del miliardario deus ex machina e vestito di bianco, ricorda ancora Senza Pietà ed ha un che di fiabesco: la fantasia permette di passare dal particolare all’universale, dall’esempio al giudizio sul mondo. Lattuada è un maestro nel caratterizzare queste figure misteriose, ambigue, odiose e allo stesso tempo fascinose, come lo è l’autoritarismo: sono divertenti ed insieme inquietanti i quadretti in cui quest’anziano capitalista ladrone insegna al ragazzino le regole del mestiere. L’altro ingrediente preponderante del film è l’erotismo, epidermico ma mai fine a se stesso, (in parte) mezzo per distinguere sante e puttane: ci sono la “contessa azzurra” vestita di lenzuola e l’adolescente Valeria Moriconi (fatta debuttare in Amore in Città), maliziosa e perversa. Unico appunto, l’inverosimiglianza dell’ostinazione della donna a volere cambiar vita proprio nel luogo dove rischia di essere “scoperta” da un momento all’altro (il poliziotto prima, l’industriale milanese poi). Compare Marco Ferreri, che con il cinema di Lattuada avrà qualche debito, superando il maestro con stilemi di cui, curiosamente, quest’ultimo s’approprierà (Cuore di Cane).
