TRAMA
Romain Gary ha vissuto una vita in apparenza straordinaria; questo impulso a vivere mille vite, a diventare un grande uomo e un celebre scrittore è merito di Nina, sua madre. Sarà proprio il folle amore di questa madre possessiva ed eccentrica che lo porterà a diventare uno dei più grandi romanzieri del ventesimo secolo e a condurre un’esistenza piena di rocamboleschi colpi di scena, passioni e misteri. Ma quell’amore materno senza freni sarà anche un fardello per tutta la sua vita.
RECENSIONI
Romain non conosce il padre e ha una madre totalizzante e possessiva che lo plasma a partire dall’infanzia in povertà in Lituania/Polonia. Nina ha grandi ambizioni, sogna la Francia e per Romain è disposta a tutto. Nel suo avvenire lo vede sommo scrittore, ambasciatore e Cavaliere della Legion d’Onore. Sostenuto da una forza così propulsiva Romain finirà per dedicare la sua intera esistenza alla realizzazione dei sogni materni, confondendo le aspirazioni personali con quelle della madre che tutto vuole, anzi, pretende. Una figura totemica e ambivalente nel suo alternare brama di gloria a slanci di affetto e comprensione. In pratica, tutto ciò che gli attuali manuali del perfetto genitore giudicherebbero disfunzionale e letale per la serenità di qualsiasi figlio. Siamo però in un’altra epoca (Romain Gary nasce nel 1914) con probabilmente altri valori, soprattutto di sopravvivenza, a cui aggrapparsi, sta di fatto che nessuna ombra di giudizio scalfisce questa presenza materna che definire ingombrante è dir poco. Non lo fa il Romain del film, salvo qualche accenno di protesta in fase adolescenziale, e non lo fa il regista che rispetta le coordinate dell’omonimo romanzo autobiografico da cui il film è tratto, considerato una delle massime espressioni letterarie dell’amore filiale. Per mettere a tacere anche il borbottio giudicante del pubblico il regista sceglie un approccio tragicomico, forse l’unico possibile, che punta a sdrammatizzare e alleggerire le conseguenze di un sentimento così forte e schiacciante.
Nonostante le buone intenzioni il risultato stride continuamente perché non trova mai un equilibrio capace di indurre al sorriso e alle lacrime dando però anche polpa alle pulsioni messe in campo. Il regista opta infatti per l’illustrazione e la spiegazione, inanellando una successione di episodi per lo più grotteschi e fracassoni. L’assenza di spessore dei personaggi, figurine che si vorrebbero pervase dal mito, e una comicità un po’ grossolana, evitano derive poco rassicuranti e stoppano sul nascere domande scomode. Sono i limiti di una grande produzione (20 milioni di euro di budget) che trova scorciatoie discutibili nella necessaria semplificazione che la trasposizione richiede. Ecco quindi la linearità con tanto di prologo, svolgimento e conclusione, al posto della frammentarietà del testo letterario, e una voce fuori campo onnipresente che toglie ambiguità e sottigliezze all’interagire dei personaggi. Charlotte Gainsbourg si adatta con determinazione allo stile caricaturale prescelto, ma la sua Nina diventa una macchietta con gestualità sovraccarica da operetta. Più sfumato il Romain di Pierre Niney ma è la caratterizzazione del personaggio a risultare piuttosto incolore e priva di quel pathos che le parole continuamente evocano. Tra sequenze tecnicamente complicate e spettacolari, una computer grafica a servizio del racconto e continui cambi di geografie ed epoche, il dramma di un rapporto indissolubile e distruttivo (non dimentichiamo che Romain Gary raggiungerà sì il successo ma morirà anche suicida) predilige l’avventura, gli episodi buffi, l’esagitazione, la grandeur. Le luci hanno quindi la meglio sul buio, ma sono anche gli aspetti meno interessanti della vicenda.
