TRAMA
Claudio, operaio edile, è felicemente sposato con Elena: la coppia è in attesa del terzo figlio. La morte della donna sconvolge la vita del giovane.
RECENSIONI
In bilico tra spaccato di attualità e dramma umano, il film di Luchetti privilegia il taglio realistico puntando su una visione sporca e diretta, con uso di macchina a mano, senza preziosismi stilistici, rimanendo abbarbicato alla quotidianità del protagonista, pedinandolo, mettendone in evidenza il travagliato percorso senza visibile enfasi, secondo normalità. Il film ha in queste scelte i suoi punti di forza, potendo contare sulla scabra prestazione di Elio Germano, colonna portante dell'opera, in scena dall'inizio alla fine, solido perno attorno al quale ruota tutto il microcosmo disegnato. E' un'Italia abbandonata a se stessa, in paludosa transizione, quella descritta da La nostra vita, di una classe che si barcamena, di nuovi proletari senza certezze, che combattono ogni giorno, soggetti a prove durissime: un'umanità di stipendi stentati, part-time salvifici, cassa integrazione, che esprime legittime aspirazioni, ma non è in grado di prefigurarsi un futuro, impelagata, com'è, nella melma di un costante, difficile presente. In questo quadro, dipinto per riferimenti diretti, rimandi strategici, astute didascalie incorporate, irrompe la tragedia che scombussola il protagonista, ne rivoluziona la vita, portandolo ad uniformarsi ad un immorale andazzo che calpesta non di rado legalità e rispetto umano. Tra Ken Loach, senza la sua solidità narrativa, e Dardenne, senza lo strazio necessario, il film di Luchetti inciampa nel percepibile schematismo di una vicenda tracciata rigidamente da Rulli e Petraglia: il narrato si srotola in modo automatico, non di rado inessenziale, con il contorno di ironie furbacchione e pietismi sfrontati che cercano la simpatia dello spettatore; il mondo che Claudio incrocia si rivela spesso puramente incidentale, acquista convincente sostanza a fasi alterne, palesando tutti i personaggi secondari (dai fratelli, alla rumena Gabriela, la morte del cui compagno è all'origine di uno studiato - e categoricamente risolto - incrocio di destini) il loro carattere di abbozzi scritti pretestuosamente per consentire il conveniente procedere della vicenda; pecca di drammatizzazione eccessiva, rispetto al fragile ordito, il personaggio del protagonista (la canzone al funerale, in flashback) la sua parabola di uomo ferito solo in alcuni casi incontrando autenticità e il respiro doloroso che sottintende (il faccia a faccia con gli operai da pagare), il teorema fatale spegnendosi con la prevista rivelazione ad Andrei della morte occultata del padre e l'unione di Gabriela con Piero (un Bova alla sua migliore performance, ma alle prese con una parte che stenta a trovare una collocazione completamente giustificata).
Nella descrizione di un cerchio che si stringe attorno al giovane padre di famiglia, le scelte non appaiono più libere, si fanno obbligate, l'orgoglio diventa pericoloso e viene evitato il peggio, non estinguendosi mai il calore familiare: il film ripetutamente sottolinea e preconizza il dato dell'amore tra i membri della famiglia come elemento risolutore; in un mondo che ha perso le ideologie e che ha nella ricchezza da ostentare l'unico motore, Claudio sa di non essere solo (gli viene ovviamente detto), di avere vicino persone che lo spalleggiano, lo supportano anche nei frangenti più bui e che al momento giusto risolveranno le cose, portando, secondo paradigma, la situazione narrata dall'orlo del baratro alla placida ricomposizione dell'armonia (la scena finale sul letto, che racconta anche di una definitiva elaborazione del lutto e della volontà di ricominciare). E' in questa solidarietà familiare che Luchetti, che dirige molto bene tutto il cast, inscrive la programmata speranza che il lieto fine vuole smaccatamente sottolineare.