
TRAMA
L’Hotel Termas è gestito dalla madre di Amalia, una ragazza che frequenta un circolo parrocchiale nel quale si discute di fede e vocazione. L’incontro con il dottor Jano viene interpretato dalla giovane come segno di una missione da compiere: salvarlo dal peccato…
RECENSIONI
Corpi abbandonati su letti, in odore di incesto, morbidamente abbracciati, dormienti o apatici, stretti in lasciva pigrizia, in promiscuo contatto. La crosta bigotta - di una religiosità che si conficca in testa, morbosa e cantilenante - viene via e scopre la ferita del sesso che brucia dentro, martellante e oscuro. Come ne La cienaga si continua a girare negli stessi luoghi, si passa dalle camere alla cucina, dalla lavanderia alla piscina di questo albergo che sembra rinchiudere ermeticamente i suoi ospiti inchiodandoli alle loro manie, ai loro gesti e frasi rituali: una coazione a ripetere, quasi bunueliana, che pare impossibile sradicare, che imbriglia tutti. Lequivoco è protagonista assoluto di una storia in cui tabù e frustrazioni, sensi di colpa e incomunicabilità (linsistere sulla sordità non è certo casuale) si mischiano e trasudano su una pellicola già tutta impregnata di umori e afrori vari. Lo scandalo striscia, passa attraverso sussurri e voci di corridoio e alla fine, forse, esploderà: locchio della camera è già altrove, sorvola le sagome galleggianti delle ragazze avvinghiate, figure che giacciono sul quadro dello schermo come puri sintomi di una realtà che si esplica appieno lontano dallocchio dello spettatore.
La Martel fa un cinema difficile e sfuggente - sinfonia frammentata di immagini e suoni (il doppiaggio è autentico sacrilegio per un film come questo) che gira attorno agli eventi e marca stretto i suoi protagonisti impantanati - che sembra consapevolmente eludere i bersagli, preferendo il suggerimento alla chiara enunciazione: il risultato è unopera seconda di ossessionanti ellissi, stringenti allegorie, forse meno penetrante del debutto, ma testimonianza cristallina di un talento autentico, di uno sguardo tra i più originali in circolazione.

Dietro la rispettabile facciata un albergo qualunque rovina su sé stesso: due clienti vengono costretti nella stessa camera, i bagni sono in rifacimento, lo shampoo prosciuga i capelli, la piscina è una palude. Il microcosmo ed i personaggi della Martel sono sempre barcollanti e vuoti di senso, in posizione orizzontale, ed il suo film un bozzolo rallentato e crudele che per gradi avvolge tutto il narrato; conta solo il gesto reiterato, lo sfiorarsi dei corpi, l’immobilità assoluta mascherata da movimento. Nei corridoi del Termas tutto è fermo, nonostante si lasci intuire un lontano passato di azione (Helena ricorda i trascorsi da tuffatrice, mentre ora scivola appena nell’acqua); qui si trascina Amalia –un prodigio chiamato Maria Alché-, nella convinzione di realizzare una missione divina tempestata di segnali equivoci (l’uomo nel giardino, la puntura di vespa al figlio di Jano*), traducibile nella limpida speranza della grazia per squarciare il suo biancore esistenziale (i riferimenti alla crisi argentina, se ci sono, si leggono in filigrana). La regista rifiuta l’identificazione con il personaggio positivo ribaltandone sapientemente gli stereotipi: la ragazzina persegue una missione celeste ma finisce a masturbarsi, la madre approccia il dottore nonostante la di lui famiglia, il fratello afflitto da calvizie non si riconcilia con i suoi cari, Josefina tradisce l’amica per tornaconto personale, Jano trova la sua terribile punizione. Soltanto l’acerrima Mirta fa da contrappasso morale a queste figure variamente immorali, quindi “normali”: come conseguenza evoca subito l’odio sommesso di personaggi e spettatori. La galleria delle ambiguità della fede, come impurità infette sulla tela della Natura, confluisce in un intreccio ad interpretazione nebbiosa e binaria che, oltre alla denuncia sempre latente, polverizza le regole della narrazione a cavallo tra racconto ellittico ed aderenza al tempo dell’azione (La struttura classica è una cosa bellissima ma io non mi identifico in essa, così l’autrice) e manovra le maschere dei personaggi sino a comporre un fragile intarsio finale (la sequenza nella sala congressi) che si muove sull’orlo del precipizio (Non è una rivelazione ma un momento del processo, nemmeno quello più importante). Amalia e Josefina, nel frattempo, si crogiolano in una piscina-acquario che le tiene prigioniere; sulla soundtrack di un insetto ronzante, la prima annuncia l’imminente nascita dei fratellastri avvolta proprio in un salmastro liquido amniotico. L’altra, invece, compone un fittizio giuramento di protezione ma si ritrova coperta di nudità, ossia i propri vestiti bagnati lasciano intravedere il pube per segnalare la verginità ormai perduta. Il loro nuotare vacuo e fatiscente si accoda al cinico applauso destinato al dottor Jano: presto scoppierà uno scandalo, noi avvertiamo soltanto il preludio del rimbombo.
Un’ultima parola per la figura orientale con lo spray, donna fantasma delle pulizie, che compare in due preziosi snodi narrativi: la rinuncia di Freddy a comunicare con la famiglia ed, in ultima istanza, la snervante attesa della coppia per rivelare le molestie. Chi è costei? Un trittico d’ipotesi spassionate: la messaggera dell’occasione mancata (come la cornetta riposta, in questo caso i delatori taceranno l’abuso), la traccia del fallimento soprannaturale (*lo spray uccide gli insetti) oppure, seguendo una traiettoria ancora più fantastica, l’avvelenatrice dell’aria dell’Hotel Termas che, rendendola irrespirabile, stringe i gangli della trappola narrativa? Questo per suggerire che, bandito ogni punto di riferimento dinanzi ad un senso interpretativo rivisitabile all’infinito, LA NIÑA SANTA è uno scarno diadema irrazionale come un musico che suona senza toccare lo strumento (non mostrare ma bisbigliare); ma forse non vi è nulla di anomalo, forse è una melodia naturale che svela il proprio segreto, forse si tratta solo di uno stagno umano fugacemente sfiorato e poi lasciato a marcire. La conclusione sospesa si protende su molti sentieri ancora da percorrere, lo splendido quesito sovrasta la “solita” risposta.
