
TRAMA
Il maggiore Kerney dell’esercito nordista secondo un piano prestabilito si finge codardo per farsi espellere e infiltrarsi tra le fila dei sudisti, e sgominare una quinta colonna all’interno delle “giacche blu”.
RECENSIONI
Pellicola che la Warner affidò alla direzione dell'oriundo ungherese André de Toth, specializzato in b movies, capace di compiere con sorprendente disinvoltura acrobazie registiche passando nel giro di breve dagli ampi spazi del genere western alle atmosfere claustrofobiche del noir (la città spenta, straordinario nella sua notturnità), a quelle adrenaliniche dell'horror (La maschera di cera, remake dell'omonimo film di Curtiz, altro eminente magiaro, che lanciò l'inconfondibile volto di Vincent Price), il quale poté contare, vista la presenza di un attore della caratura di Gary Cooper, su un cospicuo budget.
La maschera di fango è in estrema sintesi un film che si muove attraverso grandi momenti dinamici all'interno di una gabbia narrativa piuttosto involuta e macchinosa fondata su un soggetto invero insolito che restituisce i retroscena spionistici e controspionistici durante la guerra di Secessione. Un film che vive di piccole grandi sequenze nella cornice di una fotografia che accentua i valori cromatici in funzione anti-naturalistica per creare quell'insano gioco sensazionalistico della messinscena, come nella sequenza della radiazione del maggiore Kerney dallesercito nordista con quel marchio giallo, inflitto sulla schiena, che è il colore della vergogna (secondo le regole marziali dell'esercito unionista il giallo su fondo blu che contraddistingueva la compagine nordista doveva marchiare il traditore senza che il traditore fosse degno di vederlo), molto più doloroso del rosso del sangue delle ferite; oppure le incendiate sequenze finali dell'agguato ai razziatori di cavalli al soldo delle milizie sudiste dove sembra addirittura la pellicola stessa a dover deflagrare di colore.
Cinema che senz'ombra di dubbio mette in evidenza tutte le sue magagne estetiche e soprattutto tecniche: le macroscopiche imperfezioni di montaggio con scene di raccordo totalmente ingiustificate, un uso della luce che sfiora l'assoluta 'principianza', e una fotografia, come s'è detto, assai sopra le righe, ma che proprio per questo si annuncia nella sua non convenzionalità e nella messa in opera di un senso del ritmo che non perde mai di efficacia.
Curiosità: lo Springfield Rifle a cui si riferisce il titolo originale è il tipo di fucile innovativo in quanto dotato di un'automatica semplice e funzionale, soprattutto nella ricarica, in dotazione dell'esercito nordista. Nulla a che vedere, ovviamente, con i famigerati Winchester, i fucili a ripetizione che invece durante la guerra di Secessione non furono praticamente mai utilizzati.
