Drammatico

LA GUERRA DI MARIO

TRAMA

Mario, scugnizzo sottratto alla famiglia violenta, viene affidato ad una altolocata coppia della Napoli bene. Il difficile ed intenso rapporto con la madre adottiva, professoressa di storia dell’arte, non avrà esito negativo.

RECENSIONI

Capuano pare aver scelto una vicenda esemplare per parlare dell’incomunicabilità tra due mondi, tra quartieri della stessa città, tra culture, un tempo avremmo detto tra classi: quello della media-alta borghesia napoletana e quello della periferia violenta. Il regista si conferma sensibile ed acuto narratore di infanzie bruciate prima del tempo, così come abile cantore delle virtù e dei mali della città partenopea. Riesce miracolosamente a sfuggire ai cliché della “napolinesità”, ma non ad allontanare il sospetto che si tratti, in fondo, di un’opera “a tesi”, con tutti i limiti del caso: un certo schematismo nella trattazione dei personaggi e delle dinamiche interpersonali (specie nell’evoluzione del rapporto di coppia), un manicheismo di fondo che nemmeno il bel personaggio della madre professoressa di storia dell’arte riesce ad incrinare. Ciononostante, la tenuta del racconto ed il cast azzeccato – il piccolo Marco Grieco è eccezionale, così come il resto del cast, in particolare un’intensa Valeria Golino nel ruolo della madre adottiva – rendono l’opera nonostante i limiti sopradetti, interessante e complessivamente convincente.

Dopo aver girato LUNA ROSSA, una delle nostre rare meraviglie degli ultimi anni, qui Capuano rivolta bellamente la mano eschilea dell’ultima opera e, sposando un realismo sostanzialmente puntuale, conferma appieno la straordinaria vitalità cinematografica del Sud Italia. Lontano dal paradiso delle grandi produzioni ma vicino al mesto trambusto del quotidiano LA GUERRA DI MARIO è un film coraggioso su un tema spinoso, che acchiappa la rosa per lo stelo ed estrae chirurgicamente i singoli aghi, ponendoli al microscopio sotto pubblica visione. Mario è un bimbo disadatto che conosce una (ipotesi di) madre in un percorso a tappe: alla retorica non si fa alcuna concessione, i volti sono presi dalla strada, nella quiete borghese irrompe il sottotitolo del dialetto, la disperazione è sempre implosa ma pressoché insopportabile. Non interessa la trama in sé: la trincea in cui il piccolo si dibatte è fatta di noti espedienti, dalle marachelle al cagnolino, passando per lo sbocciare di un rapporto complesso articolato in antitesi (l’amore per la madre, il conflitto con il padre). A sorprendere è lo stile: l’autore decide di non volare alto, bandisce ogni licenza sovrumana, mantiene saldamente il filo del discorso senza rinunciare ad attimi indiscreti di pura visione – i migliori: gli incisi in cui il volto di Mario si ingrigisce e parte la voce off, unica nell’opera, che declama le crudeltà insostenibili dei rituali camorristici, una sorta di investitura guerriera il cui orrore supera l’immaginazione. Così Capuano, pur in una partitura impregnata di vera periferia, può ricreare spaccati d’effetti con mirabile equilibrio, grimaldelli che forzano la confezione squadernando fotografie dall’abisso spesso in un’unica immagine: il cane morto che diventa immondizia è l’autentico omicidio di un personaggio, la sequenza ulmeriana del bimbo che tenta l’innocente strangolamento della madre con il filo del telefono inquieta oltre ogni dire. In guerra non esistono regole, lo sa bene questo film che dalla galera delle convinzioni prende scioltamente le distanze. Nel testo filmico si rivoltano proposizioni acquisite, come l’istituzione della scuola che impone di tacere ai suoi sudditi: Il silenzio è una brutta cosa, ci informa un’anziana voce dai quartieri poveri. Nel suo svolgimento, in tono minore e sommesso da LUNA ROSSA, si continuano comunque ad ibridare linguaggi: rumore e musica, dalla televisione al pianoforte, dalla parlantina alla canzone popolare, dalla borgata al focolare, dalla parolaccia alla carezza.
Come ogni progetto borderline che si rispetti, orgogliosamente fuori dal circuito, il cast è una scoperta avvincente: non si dimentica uno scugnizzo come Marco Grieco, Valeria Golino si conferma attrice celestiale e puntalmente fedele a sé stessa – ormai numerose le piccole produzioni italiane che si fregiano della sua sua trascinante presenza -, Andrea Renzi è la figura meno riuscita che raramente varca le quinte della memoria. LA GUERRA DI MARIO è quindi disperato, non può che finire male ma per lui facciamo un tifo spudorato: se cercavamo un cineasta davvero alternativo in Capuano ormai l’abbiamo trovato, sarebbe troppo chiedere anche una catarsi in questo cielo grigio cupo.