Recensione, Western

LA BALLATA DI CABLE HOGUE

Titolo OriginaleThe ballad of Cable Hogue
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1969
Genere
Durata121’

TRAMA

Abbandonato nel deserto dai due compari, il cercatore d’oro Cable Hogue sopravvive grazie al rinvenimento di una sorgente d’acqua, intorno alla quale costruisce una remunerativa stazione per le diligenze.

RECENSIONI

Secondo Sam Peckinpah, era una nuova versione de “Le Mosche” di Sartre infarcita delle comiche dei Keystone Cops (le accelerazioni nelle fughe, ad esempio): “È la storia di un uomo che sfida gli dèi, e quando si sfidano gli dèi se ne sopportano le conseguenze (…). Finisce con l’essere il perfetto contrario de Il Mucchio Selvaggio: una commedia e una storia d’amore”. Una ballata divertente che si trasforma in allegoria della fine dell’era selvaggia del West, riciclata in attività più consone al progresso. Un piccolo film, poco considerato alla sua uscita ma molto amato dall’autore, che ha messo un po’ di sé nella descrizione del rapporto affettuoso fra Hogue e la puttana Hildy, figura femminile composita: allora scopriamo, a sorpresa, l’anima più erotica (gli zoom sul seno), ironica e lirica di un cineasta che ha, invece, costruito la propria fama sulla messinscena della violenza (per condannarla, ma non era chiaro a tutti) e che è stato spesso accusato di misoginia (a torto, se si coglie l’affetto, il rispetto e la parità fra i due protagonisti). Unica sceneggiatura firmata dall’attore John Crawford (scritta nel 1966 con Edmund Penney), rivista da Peckinpah e Gordon Dawson.