JSA – JOINT SECURITY AREA

Anno Produzione2000

TRAMA

Panmunjom é un villaggio al confine tra le due Coree. I soldati si fronteggiano a pochi metri l’uno dall’altro. La tensione é alta e a simboleggiarla c’è il “ponte di non ritorno”, un piccolo ponte di confine. E quando due soldati del nord vengono trovati uccisi, i sospetti si accentrano su Lee Soo-Hyuk, un soldato del sud trovato ferito proprio nella terra di nessuno. Le due Coree si accusano l’un l’altra e invocano l’intervento di una forza di pace composta da stati neutrali. Sophie E. Lang é incaricata di seguire il caso e sembra la persona più adatta: é un capitano dell’esercito svizzero figlia di un coreano e di una europea. Aiutata da un capitano svedese, Sophie deve affrontare la ostinata reticenza sia di Lee Soo-Hyuk che del sergente Oh Kyung-Pil, l’unico sopravvissuto nel posto di guardia. Cercando tra mille difficoltà di vincere le difese dei due uomini, Sophie si trova presto davanti ad una situazione più complessa del previsto, complicata dal suicidio del principale testimone. E quando Sophie porterà a termine le indagini scoprirà una verità insospettabile.

RECENSIONI

Adattamento cinematografico del romanzo di Park Sang-yun DMZJoint Security Area è un vero e proprio film di frontiera: economica, geografica, estetica. La potente Myung Film Company, incuriosita dal precedente lungometraggio di Park Chan-wook (Trio), offre infatti al cineasta la possibilità di realizzare un progetto dal budget eccezionale, stabilendo il record di spesa per un film coreano. Da par suo il film sbanca i botteghini e si attesta al primo posto assoluto per incassi in patria, facendo di Park un regista definitivamente affermato. Dal punto di vista geografico, JSA mette in scena le tensioni politiche che innervano la penisola coreana, strutturandosi con la consueta padronanza scenica attorno al ponte di pochi metri che separa la Corea del Sud da quella del Nord. Col passare del tempo, quello che sembra un limite invalicabile e mortale si rivela al contrario un percorribile e vitale trait d’union tra due popoli artificiosamente divisi, salvo poi tornare ad essere, nel finale, fattore di separazione e ostilità. La trasformazione di un’inerte struttura architettonica in elemento dinamico e suscettibile di modificazioni risulta un’efficace rappresentazione della conflittualità latente e sempre sul punto di esplodere che caratterizza i rapporti tra le due Coree (una situazione che, usando le parole del generale a capo della NNSC - la Commissione di Supervisione delle Nazioni Neutre - “si può paragonare ad una foresta inaridita, una scintilla così piccola può far bruciare tutta la foresta”). Anche sotto il profilo estetico JSA si colloca a cavallo tra film di genere (in realtà una commistione di generi: giallo politico, action e commedia) e pellicola autoriale (memorabile l’inizio, con un gufo che prima guarda in macchina e poi spicca il volo, stagliandosi contro il chiarore del disco lunare), riuscendo a conciliare piuttosto bene le due anime e a trovare una misura stilistica avvolgente. Pur non esente da qualche vezzo irritante (le aperture dei flashback smaccatamente virtuosistiche, una mdp fin troppo mobile e un uso delle soggettive e dei ralenti un filo eccessivo), Park Chan-wook mostra grande sicurezza nell’orchestrazione delle sequenze d’azione, un controllo esemplare della figura del montaggio alternato e una maestria visiva difficilmente criticabile. Superbe le prove attoriali (Song Kang-ho e Lee Byeong-heon su tutti) e ultima inquadratura magistralmente struggente.