Animazione, Drammatico, Sala

INVELLE

TRAMA

Nel 1918 Zelinda è una bambina contadina con la madre in cielo e il padre in guerra. Le tocca smettere l’infanzia e indossare la casa, i fratelli, la stalla e le bestie. Un giorno Zelinda torna ad avere una madre e un padre.

RECENSIONI

Cominciamo dal titolo, che ha un suono dolce ma allo stesso tempo sfuggente, proprio come il suo significato. Invelle, spiega Simone Massi, «equivale al “nowhere” inglese». È una parola dialettale che viene da lontano, che risale al volgare “velle”, ossia “volontà” («ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa» - Dante, Paradiso, Canto XXXIII). «L’espressione iniziale», prosegue il regista, «era “indovelle”, quindi “ovunque tu voglia”; poi cambia in “invelle”, il senso si rovescia e diventa “in nessun posto”. È una parola simbolo della civiltà contadina, utilizzata fino a 30/40 anni fa; dopo, nel momento in cui i contadini lasciano la campagna per andare a lavorare in fabbrica, questa parola, come tutto il dialetto, muore per vergogna».
Molto di quello che il film mostra è già racchiuso in queste parole: Invelle è la Storia vista dai margini, da uno di quei tanti nessun posti che legano indissolubilmente il Nord e il Sud del nostro Paese. Un racconto ad altezza di bambino (Zelinda prima, Assunta poi e infine Icaro) che si sviluppa lungo l’arco di un sessantennio in cui le microstorie degli umili, degli ultimi, di chi abita da sempre e per sempre il lato faticoso della vita, s’intrecciano con la Storia d’Italia: si va dal 1918, dalla fine della Prima guerra mondiale, passando per la Resistenza (1943), fino al 1978 con l’assassinio di Aldo Moro («La morte di Moro», m’ha detto Massi nell’intervista fattagli per Film Tv, «è la morte di tutto un paese: la sinistra si disgrega, implode, termina ogni forma di lotta; mentre il Potere inizia un processo lento, inesorabile, spietato con cui riuscirà a prendersi tutto, ogni singola conquista sociale»).
Invelle è il primo lungo di Simone Massi dopo 30 anni di corti per merito dei quali ha ottenuto i più prestigiosi riconoscimenti internazionali (tra questi il David di Donatello per Dell’ammazzare il maiale). Invelle è il debutto d’un esordiente di successo ostinato a raccontare il mondo da cui proviene - che non l’abbia più, che l’ha visto morire, non significa che sia disposto a farsi adottare. Invelle è un capolavoro prezioso, un’immensa lezione formale e morale, che arriva nelle sale dopo innumerevoli ostacoli: 12 anni di gestazione; 40 versioni della sceneggiatura precedute dalla lettura di tonnellate di materiali; 40.000 tavole interamente realizzate a mano; un anno di limbo distributivo (il film è stato presentato nel 2023 alla 80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia). Un affresco che trascende ogni possibile modello di riferimento, un’opera voluta fortissimamente da Massi che, nonostante i tormenti realizzativi patiti, è riuscito a conservare un’urgenza lancinante e, soprattutto, una necessità politica pari solo alla bellezza del suo film.
Massi è un artista che tiene la posizione, un animo resistente che porta avanti un’animazione antica, fuori dal tempo, fuori mercato: in bianco e nero screziata di rosso (il rosso della rabbia, della passione e del sacrificio), dura e spigolosa come un’incisione (fatta a pastelli a olio stesi su carta e poi graffiati con sgorbie e puntesecche ), ma sempre pulsante e in trasformazione (nel suo cinema non ci sono stacchi, anche Invelle è un ininterrotto pianosequenza che trasforma il racconto in un lunghissimo attimo, in un sospiro profondo nel quale sprofondiamo ed emergiamo per mezzo di continui zoom in avanti e all’indietro). Un’animazione che riesce, allo stesso tempo, a trasmettere, grazie a un incessante gioco di prestigio, solidità e leggerezza; che richiede fatica, a chi la realizza, ma anche anche a chi la guarda (gli stessi dialoghi, così come le identità delle sue figure - da lui qui utilizzate entrambe per la prima volta - non aiutano nella decifrazione della visione: i primi sfumano, s’interrompono; le seconde rimangono nascoste: non c’è mai un personaggio che chiama l’altro gratuitamente per dare l’informazione allo spettatore). Per tutto questo, ma anche per molto altro che ciascuno scoprirà vedendolo, Invelle è un miracolo di cinema. Un atto d’amore.