Fantascienza, Recensione, Thriller

INVASION

TRAMA

Lo schianto di uno shuttle è causa della misteriosa epidemia che colpisce la Terra; la psicologa Carol Bennell, alle prese con eventi sempre più inspiegabili e inquietanti, si ritrova infine costretta a salvare il figlioletto Oliver. Ma che succede? Tranquilli, è solo un’altra invasione degli ultracorpi…

RECENSIONI

The Invasion (con il the misteriosamente scomparso nella versione italiana) è il remake de L’invasione degli ultracorpi. Detto questo, annotato che il film è tratto dallo stesso romanzo di partenza (The Body Snatchers di Jack Finney), evitato ogni parallelismo ingombrante, realizziamo subito la parola d’ordine: adattare la storia di Finney ai giorni nostri, Stati Uniti 2007. E’ questo il dato di maggiore interesse: si sprecano riferimenti all’attualità, a partire dalla radio che scandisce l’annuncio di sanguinosi attacchi in Iraq per finire al telegiornale post-contagio, dove si documenta la cessazione di tutti i conflitti, la morte dell’odio, il paradossale trionfo della fratellanza (per intendersi: Bush stringe la mano a Chavez e inaugura un’asse commerciale Usa-Venezuela). Sentiamo frasi del tipo: Per porre fine a tutte le atrocità, l’uomo dovrebbe cessare di essere umano (citazione non letterale). Ma tornano su grande schermo anche altre affermazioni che non sentivamo da un po’: Mio marito non è mio marito, Sono tra noi, e così via. Cinepresa a Olivier Hirschbiegel (The Experiment, La caduta), che approda così alla Mecca hollywoodiana tentando di mantenere una propria personalità: si inizia subito in flash-forward, con la dottoressa Bennell intenta ad assumere varie pastiglie colorate allo scopo di non addormentarsi (montaggio serrato, camera mobile, ritmo frenetico), a sottolineare una delle fasi salienti della vicenda che sta per iniziare. Poi le acque si calmano: e la prima parte, quella attendista e preparatoria dove “non succede niente” (presagi, timori, segni), suona nettamente migliore della seconda. Alcune caratteristiche del plot, ovvero l’illustrazione dell’apocalisse epidemico con morbo in drammatica espansione, ricordano appena i primi lavori di Cronenberg. Ma quando il germe si espande, i personaggi vengono progressivamente alienizzati, inizia la lunga fuga della donna, insomma c’è la presunta vetta del film, The Invasion si limita alla svogliata e convenzionale declinazione sul tema dell’invasione (appunto). Come finiranno i protagonisti non è mai messo in dubbio, così come i destini del mondo e lo schema archetipico dell’action movie; questo solo a sprazzi rischia di essere rianimato dalla coppia di star, Nicole Kidman e Daniel Craig (ovvero, il nuovo 007). Tra l’altro nelle parti più concitate il regista, spesso difettando di senso di orientamento, sfida l’occhio e rende arduo distinguere esattamente l’azione di corpi e i contorni delle immagini: l’inseguimento conclusivo, girato da James McTeigue non accreditato (V per vendetta), è invece il peggiore in assoluto, limitandosi a un’accozzaglia confusionaria di frammenti visivi quasi impossibili da ricomporre. Anche la chiusura, con fede in bella vista a significare l’avvenuto matrimonio, si consuma all’insegna dell’accostamento leggibile e della chiarezza più esplicita. In questo contesto, infine, sembra superfluo tornare sull’eterna metafora “invasione aliena per rappresentare l’attuale situazione politica americana”, che qui si ripete senza variazioni degne di nota.

David Kajganich coglie la vera essenza del romanzo di Jack Finney, più volte trasposto su grande schermo (L’Invasione degli Ultracorpi, Terrore dallo Spazio Profondo, Ultracorpi–l’Invasione Continua), perché disquisisce su ciò che rende umani (gli istinti primari, violenza compresa) e ciò che è disumano (l’omologazione con connessione in armonia e in pace), creando un bel paradosso. Non sapremo mai, però, cosa avesse intenzione di farne il regista, dato che il produttore Joel Silver, insoddisfatto del risultato troppo “artistico” (Hirschbiegel artistico?), l’ha fatto rigirare e riscrivere a James McTeigue e ai fratelli Wachowski, che hanno iniettato più azione e convenzioni thriller. La continuity ne soffre terribilmente, la coerenza pure: scene come quella del personaggio di Jeffrey Wright che, di punto in bianco, diventa onnisciente (rivela la natura aliena delle spore, sa che si impossessano dei corpi e che negli Stati Uniti l’allarme non è ancora partito) o quella, fuori luogo, del russo che sciorina la sua riflessione sulla vera natura umana, denunciano il volto raffazzonato di un’opera che è stata rimontata, ripensata, rigirata cercando di consegnare un prodotto di intrattenimento che non è (era). Si intuisce, cioè, che la sua direzione era un’altra, non concernente il lato fantahorror (pochissimi ingredienti) e che l’azione con caccia all’uomo non poteva essere (come desiderio di Silver) l’unica ragion d’essere, dato che si fonda, oltretutto, solo sull’idea dell’impossessamento dei corpi, non nuova al cinema.