Marco Robino, violoncellista, è il direttore, arrangiatore e trascrittore degli Architorti, quintetto che si muove su un repertorio eclettico che va dalla musica classica a quella contemporanea.
_x000D_Dal 2004 collabora con il regista Peter Greenaway.
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Collabori con Peter Greenaway dal 2004, dai tempi de Le valigie di Tulse Luper. Com’è avvenuto il tuo contatto col regista?
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È successo abbastanza casualmente. Claudio Ottavi, un amico attore, che ha una scuola di teatro, un ammiratore di Greenaway, era venuto a sapere da un’amica olandese che lavora col regista che questi aveva bisogno di un quartetto d’archi: Greenaway stava girando alcune scene del secondo capitolo di Tulse Luper al castello di Racconigi. Gli ho detto che avevo un quintetto – perché il mio progetto con gli Architorti è un quintetto. Quel giorno tra l’altro non potevo esserci, ma siccome Claudio è anche violinista, ho allestito con lui il quintetto per Menuett, un’interpretazione di un brano di Händel; è un pezzo minimale, barocco, di sapore sassone, direi mitteleuropeo e settecentesco, qualcosa, insomma, che pensavo potesse interessare il regista. Il quintetto fa un bel lavoro sul set, suonando in condizioni anche disagiate, di notte, al freddo, con riprese in diretta, in una situazione difficile. A Greenaway il pezzo piace e quindi mi chiede di utilizzarlo, con tanto di liberatoria e a buon rendere. Ed è iniziata così. Premetto che noi Architorti non siamo appoggiati da nessun produttore, nonostante ciò Greenaway ha usato il brano sia per il secondo che per il terzo capitolo della trilogia. Lo ha usato ancora per il corto The European Showerbath e purtroppo – qui scatta con il senno di poi il rammarico – quando ha fatto Nightwatching, nonostante mi fosse stato detto che era interessato alla mia musica, non si è riusciti a realizzare nulla perché i produttori spingevano per musicisti già affermati. Ma, con tutte le difficoltà del caso il filo con il regista non si è spezzato: ero in questa situazione in cui nessun produttore mi spingeva, ma Greenaway spingeva me nonostante le pressioni avverse. Ho collaborato poi a Rembrandt J’Accuse e pian piano siamo diventati per lui dei musicisti di riferimento. Tutto questo nonostante, e ci tengo a ribadirlo, i produttori.
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Per Goltzius and The Pelican Company come si è sviluppata la vostra collaborazione? È noto che molto spesso Greenaway chieda la musica prima del film, è stato il vostro caso?
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Per Goltzius è andata come va in tutti i lavori con Greenaway: in primo luogo la musica deve essere emozionale e forte. Abbiamo parlato per la prima volta di questo progetto nel 2008, perché il progetto è partito allora nonostante il film sia stato poi realizzato nel 2012…
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Come al solito le gestazioni dei film di Greenaway sono molto lunghe…
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Molto lunghe… Ho poi scoperto che altri suoi film hanno avuto gestazioni travagliate…
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Dello stesso Eisenstein in Guanajuato si è parlato per la prima volta almeno cinque anni fa…
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Infatti, dal 2009. C’è da dire una cosa, ad onor del vero, che nel frattempo il produttore Kees Kasander ha avuto un infarto e questo ha rallentato tutti i progetti. In generale comunque quelli di Greenaway sono progetti con tempistiche dilatate. Dopo la prima fase, di soggetto e sceneggiatura, scatta la preproduzione e a quel punto entrano in gioco le musiche. Quando si è parlato delle musiche di Goltzius il grande poeta Daniele Martino, che ha scritto il bellissimo testo di uno dei brani, quello dedicato a Narciso, ha cominciato a pensare all’incisore Goltzius, all’artista, a studiare le sue opere, le tematiche, la tecnica… E io gli dicevo di lasciar stare, perché se collabori con Greenaway non importa quanto il tuo lavoro sia dedicato al soggetto e approfondito, perché, ripeto, deve essere innanzitutto forte: tu produci e se quello che hai fatto ha quel carattere forte che lui cerca allora lo utilizza, se non ha quel carattere, anche se è dedicato e coerente col progetto, lui lo mette da parte. Dico questo perché anche io all’inizio cadevo nello stesso errore… Così la musica: deve colpire, essere fatta per cadere in piedi, per così dire… Per cui, su un’ora e dieci minuti di musica per il film ci sono più o meno cinque ore di produzione che non viene usata e che finisce nel cassetto.
Quindi mi confermi che la musica nasce prima delle immagini.
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Sì, è concepita prima, e neanche pensata per il film, ma composta con una grande libertà.
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E questa musica deve almeno rispondere a dei canoni? Ad esempio, nel caso di Goltzius Greenaway ha chiesto che si tenesse conto della tradizione musicale dell’epoca?
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Dipende da quello che lui decide: se deve essere una musica con stretta compenetrazione stilistica con le immagini o no. In questo caso no. Goltzius presenta un incipit di Vivaldi e prosegue con un lavoro che ho fatto sul concerto per fagotto e orchestra di Vivaldi che è, in realtà, una composizione che ho scritto per il suo prossimo film Food of Love, che dovrebbe girare ad agosto. La musica di Food of Love è incentrata tutta su Vivaldi, su una rielaborazione delle sue composizioni, una rivisitazione in chiave moderna. Però Peter l’ha usata per Goltzius! Questo per dire come il tuo lavoro può prendere altre strade, del tutto impreviste, nelle sue mani.
_x000D_Ha questo tipo di intuito: sente che una cosa funziona e la prende. Lui è davvero un grande per tante cose, il senso dell’estetica, dell’analisi, per il modo in cui comprende il mondo della comunicazione, ma anche per la geniale intuizione con cui riesce ad abbinare gli elementi; è un grande esteta dei suoni, un profondo conoscitore del rapporto musica – immagine.
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A questo proposito quello tra Greenaway e Michael Nyman è uno dei sodalizi tra regista e musicista più importanti della storia del cinema: ovviamente ci avrai pensato…
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Assolutamente sì.
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Ecco, rispetto a questo totem, anche ingombrante, come ti sei posto? Ti ha intimidito questo inevitabile paragone?
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Non ho mai pensato in questi termini, ma adesso mi confido un po’. In Giuseppe in Egitto di Thomas Mann, romanzo bellissimo, c’è questa visione del protagonista, giovane e presuntuoso, che va in Egitto e non gliene frega niente del faraone, non ha la minima soggezione nei confronti di questa figura: mi sono trovato a pensarla in questo modo nei confronti di Nyman… Ovviamente lui è un un grande compositore, un grande innovatore, anche se, ti confesso, non sono mai stato un suo fan. Onestamente. la mia estrazione è barocca, vengo dalla musica antica e ancora adesso c’è quell’imprinting. I miei studi sono stati di musica da camera per tanti anni, da Haydn in su.
Quanto comunicate?
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Noi ci parliamo pochissimo, ci scriviamo pochissimo. Proprio poco. L’ultima corrispondenza è di un mese fa, per dire. A lui interessa che io faccia musica e a me interessa fare della buona musica. Adesso che ha vinto il BAFTA ha una marea di progetti in ballo. Mi ha chiesto dieci ore di musica per una serie televisiva e ti dico francamente che non riesco a starci dietro, perché ho anche altri progetti che mi prendono molto.
_x000D_Collaboro da anni con gli Africa Unite (Corde in levare), ho fatto un progetto con Madaski, Le corde contro le macchine, e nell’ultimo cd degli Africa Unite sto producendo un pezzo pensato e concepito in un modo peculiare e che mi sta prendendo moltissimo tempo. Poi ho i lavori scolastici con 1200 bambini. Devo tenere le cose in comparti stagni, anche perché se le maestre vanno a vedere Goltzius mi tolgono i progetti scuola (ride). Comunque, dicevo, comunichiamo pochissimo: una volta ho provato, era il 2007, per Ripopolare la reggia, a fare lo splendido e a entrare nel suo lavoro chiedendo dettagli sull’allestimento delle stanze e lui mi ha detto praticamente che a me non doveva fregare niente, che dovevo pensare a fare la musica, che al resto ci pensava lui e a me, devo dirti, questa cosa va benissimo. Da un lato abbiamo un senso dell’estetica tale da capirci senza doverci spiegare e questa è una cosa bellissima. Per cui in Eisenstein non dovrebbe esserci la nostra musica, ma non mi stupirei se a un certo punto spuntasse fuori un pezzo che io gli ho fatto…
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Quando scrivi per il cinema hai un approccio compositivo differente?
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Va detto che io scrivo quasi esclusivamente per Greenaway perché il mio lavoro è di direttore del quintetto, di trascrittore e rielaboratore. È stato Greenaway, e anche per questo lo reputo un maestro, che mi ha spronato a scrivere, mi ha detto “componi per me” e mi ha rivelato un talento che non pensavo di avere. Non so se è tutto bello quello che faccio, ma dopo tanti anni ho un riscontro di critica positivo e questo mi conforta. Comunque è stato Greenaway a farmi diventare un compositore, io non ci avrei mai pensato, questo sì mi sarebbe sembrato presuntuoso. “A chi può interessare un lavoro del genere?” riflettevo tra me e me. E invece funziona e funziona perché lui ha bisogno proprio di un musicista barocco, barocco come stile e come contenuto. Adoro, per esempio, scrivere i bassi continui su melodie antiche, è una delle cose più belle, mi viene naturale e da lì mi è facile ricreare altre melodie; in questo gioco di smontare e rimontare la musica immetto tanti elementi: magari alla fine faccio delle torte troppo farcite, ma in combinazione col suo cinema funzionano. Anche per Eisenstein abbiamo provato a tirare fuori qualche idea; alla fine – e lì la produzione aveva ragione – abbiamo rinunciato: io stesso, del resto, se vedessi un film su Eisenstein vorrei ascoltare Prokovief, ci sta ed è una logica buona. All’inizio abbiamo cercato una musica sottile, abbiamo tentato un quartetto minimale, ridotto all’osso, ma la cosa si è rivelata difficile, non abbiamo trovato la quadratura. Un tipo di musica che tra l’altro avrebbe affiancato un attore grandissimo, perché l’attore che fa Eisenstein, Elmer Bäck, dalle immagini del film che ho visto, è davvero bravissimo: ha dato un’interpretazione molto sottile, leggera, una performance davvero interessante.
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È infatti un film molto parlato, tra l’altro, e molto imperniato sull’interprete.
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Sì, Greenaway mi ha detto che all’inizio aveva l’idea di un certo film e che durante il girato ha deciso di intraprendere una strada diversa, proprio in ragione del lavoro svolto con questo attore.
La scelta di far esibire il tuo ensemble Architorti in Goltzius, come musicisti di corte, sottolinea ancora una volta l’enorme rilevanza che il regista riconosce all’aspetto musicale del film. Cosa hai pensato quando ti è stato detto che vi sareste esibiti nel film?
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È accaduto così: sapevo che stava girando e a un certo punto mi scrive “pensi che sia possibile metterti a suonare su una pedana ruotante?” io ho detto di sì, abbiamo preso l’aereo e abbiamo girato. Come può essere nata la cosa? Premettendo che non ho mai letto la sceneggiatura di Goltzius…
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L’ho letta io e la presenza dei musicisti in scena era prevista.
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Ecco, non lo sapevo. Grazie, finalmente lo so! (ride) Non ne sapevo niente, Più tardi ho saputo che Pippo Dellbono voleva proporre delle scene con il violinista Balanescu, ma non se n’è fatto nulla… C’è da dire una cosa. In The Baby of Mâcon usa i musicisti che si vedono e musiche originali antiche, non ci sono musicisti che suonano in altre situazioni… Ci sono in Eisenstein, c’è l’orchestra di Guanajuato che suona, l’orchestra sinfonica del teatro locale. Sei stato a Venaria, hai visto Ripopolare la reggia?
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Sì, conosco quell’allestimento.
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Hai visto che siamo proiettati sul muro. È successa questa cosa: tra i vari personaggi si pensava di rappresentare anche l’orchestrina di corte, ma era un’opzione secondaria. Per cui mentre giravano la scena della processione, con trecento figuranti, ci hanno detto di tenerci pronti, per vedere se per caso usciva fuori la possibilità di un girato. Il brano che suonavamo, che lui ha usato per Lucca Towers, è un pezzo di ironic music… che è sparare sulla croce rossa qui in Italia, non c’è un musicista che sappia fare un pezzo ironico in tonalità minore o peggio ancora in tonalità maggiore, tutti che si prendono tremendamente sul serio. Io invece parto proprio dal gioco, dal presentatore del cabaret e lui un po’ cerca questa cosa…
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Vuole l’istrione…
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Il pajass! C’era Rota che era un grande in questo. Oggi invece non so se esiste un musicista che fa quel tipo di cose, che si prende un po’ in giro… Questo pezzo ironico – un pezzo staccato in cui c’è una pausa in cui rimani appeso sul cornicione e vieni ripreso al volo – lo dovevamo fare a memoria… Ho detto ai ragazzi: «Visto che siamo in playback, fate finta, emulate. Lui è inglese? Facciamogli il teatro inglese, non facciamo i musicisti che suonano, facciamo la recita del musicista». Siamo un quintetto e io li conosco bene i miei musicisti (sono venticinque in tutto, con innesti più giovani, seguiti dai più anziani: è una scuola in tutti i sensi). Lì eravamo cinque persone ognuno con il suo portamento, chi più istrionico, chi più compassato, cinque colonne in un equilibrio di movimento. Alla fine avevamo diciassette minuti e proviamo a usare qualcosa: abbiamo fatto un piano sequenza , senza tagli e buona la prima. Ecco, Greenaway si è ricordato di questa cosa qua, e quindi ci ha chiamati per replicare la stessa cosa in Goltzius. Non ti dico i suoni che venivano fuori su quella pedana che a me ricorda tanto Lola Montes. Secondo me un po’ si è ispirato al film di Ophuls, anche lì il presentatore del circo di Lola Montes racconta sulla pedana camminando e la pedana gira nello stesso verso della pedana di Goltzius e anche Giulio Berruti (Boethius), se guardi, cammina alla stessa maniera, puoi quasi sovrapporre le scene.
Mi confermi quindi che il prossimo progetto è Food of Love?
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Ma guarda, io ho fatto le musiche per Bosch. L’inferno musicale, di cui non ho più saputo niente. Anche del film su Kokoschka, The OK Doll non ho più saputo niente; so che entra in produzione con il film su Brancusi, Walking to Paris, ma non ha ancora deciso che musiche usare. Il progetto di Food of Love esce fuori nel 2010 ufficialmente e, all’epoca, uno dei produttori aveva pensato a un altro musicista. Ma Greenaway mi dice «Senti un po’, hai pensato mai al concerto per fagotto e orchestra di Vivaldi e al tango?». Ecco, lui ti dice queste due cose e poi sta a te. E tu parti. Dopo un po’ di settimane grazie all’aiuto del mio grande produttore Marco Gentile, che ha un ruolo centrale – occupandosi di tutte le viole e i violini dell’orchestra è un insostituibile collaboratore esecutivo – ho fatto un demo di quattro minuti e gli è piaciuto moltissimo tanto che, come ti dicevo, l’ha utilizzato anche in Goltzius.
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Mi fai un esempio di colonna sonora che ami?
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Ce ne sono tante che sono bellissime. Quello che Greenaway ha fatto con Nyman è fantastico, ha un linguaggio che è unico, lontano, per farti un esempio, da quello che hanno concepito Spielberg e Williams; ciononostante Williams è un grandissimo perché riesce a prevenire la sceneggiatura e a costruire lo score dopo che è stato fatto il film, che è una cosa pazzesca. Teho Teardo riesce a creare belle atmosfere con un regista come Sorrentino, anche se, per esempio, ne La grande bellezza, nonostante ci sia della bella musica, non c’era quell’unicità che ha fatto sì che Sorrentino avesse in Teardo il vero interprete musicale delle sue immagini e della sua poetica. Alcune volte mi arrabbio sulle scelte di certe musiche… Per esempio un grande come Morricone ha creato delle situazioni che mi irritano. A volte comprendi come sia stato scelto perché è lui, perché è un nome. Un film bello come La migliore offerta ha la zampata del leone di Morricone, ma non c’entra niente: voglio dire, il film è distante da quella musica.
_x000D_Ci sono poi dei film in cui la musica non viene affatto considerata e invece ascoltandola capisci che è fatta da grandi professionisti. Questa è una cosa che ho iniziato a apprezzare con gli anni… Un esempio: Il colosso d’argilla di Mark Robson con Humphrey Bogart (musiche di Hugo Friedhofer NdR). Ti ricordi qualcosa della musica? No, ma se lo guardi e decidi di farci caso e la ascolti attentamente ti accorgi che è un capolavoro, è grandiosa e si sposa perfettamente con il film.
_x000D_Anche il compositore delle musiche di Spartacus di Kubrick, Alex North che doveva fare quelle di 2001 tra l’altro, è grandissimo: se ascolti le musiche di quel film te ne rendi conto. Ha uno stile sovietico, sembra quasi Shostakovich.
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