TRAMA
Mo Folchart è un “lingua di fata”: può trasportare nella realtà i personaggi dei libri che legge ad alta voce. Questa sua facoltà gli fece perdere la moglie mentre richiamava i crudeli personaggi del romanzo Inkheart, ora decisi a sfruttarne le doti per avidità.
RECENSIONI
Una lingua di fata balbuziente riporta personaggi menomati: Softley immerge da subito in una suadente dimensione di magia e passione per i libri, degna di “L’ombra del vento” di Zafón; la sceneggiatura di David Lindsay-Abaire svela gli antefatti con parsimonia, generando mistero. Ma, da inno al potere della parola scritta con idee potenzialmente eccitanti, l’inchiostro chiude il proprio universo fantastico in giardino (come tanti, troppi racconti fantasy scelti ultimamente per il grande schermo), reiterando le situazioni, mortificando in gabbia il pathos e le creature meravigliose (parchi effetti speciali). Difetto nel manico: il romanzo di Cornelia Funke è colmo di spunti intriganti appiattiti in segni esteriori (come il Creatore/Scrittore del libro nel libro, ci si rammarica di non vivere il racconto medievale di “Inkheart”, invece che questi scampoli con immaginario in coitus interruptus), adagiato su personaggi bidimensionali (eccezione: il mangiafuoco di Paul Bettany, combattuto fra altruismo ed egoismo) o macchiette mediocri (eccezione: la brontolona zia di Helen Mirren che, divertendosi, diverte), presto dimentico dell’allegoria sulla lettura, incapace di surrealtà/creatività (quale risorsa lo scambio fra dimensioni!). Per fortuna la produzione sceglie location particolari, soprattutto quelle liguri (rispettando le pagine del romanzo) fra Balestrino, Laigueglia e Albenga, in nome anche di un regista che aveva fatto miracoli con la Venezia di Le Ali dell'Amore: ma Softley, insolitamente e inopportunamente sobrio, non trova la misura nei registri, fra commedia lieve, epica affettiva (Bettany anela a Jennifer Connelly, sua moglie anche nella realtà) e tragedia (la madre schiava per anni e muta), evoca l’atmosfera di mondi paralleli e finisce col giocare a “il forte con soldatini” fascisti (Capricorno rasato a zero, le “giacche nere”), pago di un gioco derivativo e citazionista di altre fiabe famose (Il Mago di Oz su tutti). Poi uno guarda Pagemaster e capisce che esiste ben di peggio.