TRAMA
Ray e Ken , due killer, sono costretti dal loro capo a riparare a Bruges. La loro ultima missione è andata storta: Ray ha ucciso per sbaglio un bambino.
RECENSIONI
Bruges è il purgatorio, lo stallo, una sontuosa sala d'aspetto. Bruges si rivela un pretesto, non un rifugio: Bruges, in definitiva, è una missione e una ricompensa, una condanna e un regalo. Ed è a Bruges che accade tutto: i due killer (uomini molto diversi, due generazioni a confronto, un rapporto che ricalca quello genitore-figlio) che sembrano doversi nascondere, vivono la città (che è l'Attesa della Morte) in modo differente e forse un po' immaginano, da creature stranite e beckettiane quali sono (vengono da Dublino, del resto), di "significare qualcosa"[1]. Il tempo sembra immobile ma scorre ineluttabile tanto che alla fine ogni personaggio perirà in questa città-destino che attira tutti a sé, anche coloro che sembrano averla lasciata per sempre. Dunque il film prima pare assecondare le complesse pieghe del lavoro intimista, in cui si tenta di elaborare l'inelaborabile colpa (l'uccisione involontaria di un bambino) lasciando credere che il meccanismo di morte si sia inceppato nelle maglie di un rimorso che dilania, impigliato magicamente nelle sospese atmosfere della città medievale, poi riparte assumendo i caratteri neri dell'ironica, fatale tragedia in cui tutto torna, il teorema immanente per primo.
Molto ben orchestrato da McDonagh (regista al suo debutto nel lungometraggio, ma forte di un corto strapremiato e di un rispettato - ed evidente - background teatrale) che non scappa di fronte alla possibilità di un riferimento esplicito (Quinlan alla televisione), In Bruges miscela a dovere registri, non risparmiandosi toni brillanti e/o vagamente demenziali; espone una galleria di personaggi puri a loro modo, a loro modo rigorosi, tutti pienamente caratterizzati; ha momenti di assurdo sublime (la sequenza in casa di Harry, un Ralph Fiennes al culmine della follia); costruisce un sottile sistema di apparenti varianti che conducono dritte a chiudere il crudele gioco delle coincidenze (il nano, falso bambino, la cui morte accidentale segna, per mero errore materiale, nella cornice finzionale di un set che si denuncia come metafora, il suicidio-principio del più cattivo dei cattivi), la casualità comandata da un autore che ha deciso di mettere in scacco tutte le sue pedine.
Film sorprendente, di stile maturo, molto ben scritto, in cui Brendan Gleeson sfiora il sublime.
[1] Ma ancora più evidente lì'ascendenza di In Bruges dall'atto unico The dumb waiter (Il calapranzi) di Harold Pinter: due killer costretti a condividere forzatamente uno scantinato, in attesa di istruzioni, si danno a conversazioni oziose, litigano e disputano su inezie. Le istruzioni finali imporranno ad uno di uccidere l'altro. Ne esiste una splendida versione televisiva (1987) diretta da Robert Altman, con John Travolta e Tom Conti.