Biblico, Recensione

IL VANGELO SECONDO MATTEO

TRAMA

La vita di Gesù Cristo dalla nascita alla crocifissione.

RECENSIONI

La Passione di Cristo

Non sono venuto a portare la pace ma la spada.

Mediaset, in collaborazione con la Scuola Nazionale di Cinema e la Compass Film, sforna la 21esima opera italiana del secondo dopoguerra restaurata e riproposta sul grande schermo: pulizia del negativo, scene rovinate ricostruite con la tecnologia di Cinecittà, revisione del montaggio e suono digitalmente filtrato. I materiali risultanti sono stati stampati su supporti moderni, per permetterne la conservazione nel corso dei prossimi decenni. Nei cinema su programmazione limitata alla settimana di Pasqua, dal 9 al 15 aprile 2004.
Pierpaolo Pasolini è di nuovo in sala, un ritorno sacrosanto che continua a stordire, avvincere, commuovere: negli occhi irrompe ancora la coniugazione di roboante silenzio ed esplosione di rumore, la camera fissa che viviseziona volti e rughe fino a diventare manuale e traballante, dimenarsi, sanguinare, soffrire ed incazzarsi insieme a Gesù Cristo. Un film mandato sul rogo come eretico, per il semplice fatto di aver tratteggiato il Cristo uomo, accompagnando gli occhi e gli anatemi con i Canti Rivoluzionari Russi (insieme ai pezzi di Bach, Mozart, Prokofiev, Webern). Colpevole apparentemente di aver desacralizzato il sacro, fin dalla sua presentazione a Venezia 1964: ma nella visione l’equivoco si dissolve materializzandosi il suo contrario, ossia Pasolini che eleva a dimensione narrativamente divina il dipanarsi di una storia viva e pulsante. Questa materia bollente e rigogliosa scova nei meandri di sé stessa meteoriti di ineffabile poesia: i volti umani che contornano la Natività, passati in rassegna da una m.d.p. micidiale, come poi succederà per i centurioni, gli scribi ed i farisei. E ancora: gli scorci sui sassi di Matera durante la strage dei neonati, la tristezza del Cristo eversivo del grande Irazoqui verso il Gethsemani, la messinscena della deformità come fotogramma bellissimo e terribile (il lebbroso, lo zoppo) dissoltosi nell’attimo immediatamente successivo. L’avvolgimento mistico della pellicola non è nient’altro che irresistibile coinvolgimento personale: se G.C. (non) è uomo come ognuno di noi, noi (non) siamo allora uomini come G.C.? IL VANGELO è da amare/odiare alla follia, spesse volte crocifisso ma ora finalmente resuscitato: rotola via la pietra medievale che sciaguratamente lo copriva, restano gli sguardi sempre increduli degli astanti. Il restauro è strumento inutile ma essenziale, volgarmente speculativo ma a cui aggrapparsi con tutto il proprio essere (cinefilo): nonostante le novità contingenti nella pellicola siano praticamente zero (ri)vederlo in questa maniera è sentirsi miracolati. Come i discepoli corrono incontro all’apparizione di Gesù risorto, così ci si precipita dunque in sala. Si esce storditi, fatti a pezzi come la Gerusalemme che condanna a morte il Protagonista.

Di questa città non vi sarà pietra che non sarà stravolta.

Il Cristo era un rivoluzionario: urlava alle folle il suo biasimo per dotti, ricchi e farisei e proclamava che il Regno dei Cieli apparteneva ai miseri dal cuore puro. Secondo Matteo, era più rabbioso che mite e diceva: "Non sono venuto a portare la pace ma la spada". Sembra paradossale che il più appassionante (senza orpelli metafisici, la buona novella arriva dritta al cuore della mente) e amaro (lo iato fra perfezione divina e debolezza degli uomini) ritratto del Figlio di Dio ci venga da un ateo marxista: per quanto anticipata dal simile (per temi) La Ricotta, l’opera di Pasolini avrebbe sorpreso meno se dissacratoria o iscritta nella sua poetica sacrale del borgataro (con Cristo terragno, volgare). Invece, è comprensibile che il film biblico più autentico e schietto della storia del cinema sia girato da un artista dotato di coscienza critica e non compromesso, volente o nolente, con l’intoccabilità dell’assunto. Pasolini riporta Dio fra gli uomini, restituisce la figura "mitica" ai comuni (e gli apostoli agli intellettuali, che chiama ad interpretarli) rispettandone, però, l'aurea sacra, la lettera e lo spirito molto più di tutti quei registi "farisei" che l'hanno immortalato con mire spettacolari, celebrative, acritiche, asservite ad un'iconografia tradizionale. Lo riporta, cioè, alla semplicità d'animo che tentò anche Rossellini nel Francesco Giullare di Dio, aggiungendovi una tensione spiritual/poetica degna de Il Processo di Giovanna D'Arco di Bresson (anche se poi cita la Giovanna D'Arco di Dreyer, quando si fissa sul primo piano della Madonna giovane). La scoperta di Enrique Irazoqui (Gesù), con quello sguardo insieme dolce e severo (ma voce di Enrico Maria Salerno), ha del miracoloso; Susanna Pasolini (sua madre) è una Madonna troppo anziana, ma serve come provocazione: Cristo, come Pasolini, è profeta in patria. Eccentrico il commento sonoro che spazia dallo spiritual a Bach e Mozart (con note originali di Bacalov), sublimi le soggettive "mosse" di una macchina da presa libera e anarchica che pretende silenzi sacri ed intensi, in una Palestina ricostruita in Basilicata con pittura rinascimentale.