TRAMA
Anni cinquanta: spacciandosi per un ex-compagno d’università, Ripley si fa ospitare da un ricco rampollo americano nella sua residenza napoletana.
RECENSIONI
Comincia bene il film di Minghella, coi suoi studiati titoli di testa in stile anni '70, e coinvolge subito con la frase d'apertura (un rimpianto) e le sue promesse di inquietudine. Coinvolge soprattutto chi non conosce la storia e può godersi a lungo l'ambiguità di Ripley-Damon. Ragazzo di modesta estrazione che vive di sogni e forse di invidie, ispirato e non realizzato pianista, ma anche individuo falso e bugiardo. Non è chiaro cosa architetti quando parte. Lo ritroviamo nella stimolante cornice di questa storia: la solare Italia degli anni '50, in cui gli italiani (come da stereotipo) sono espansivi con i turisti, fischiano alle ragazze che passano e iniziano spontaneamente a cantare in mezzo alle strade. E qui il protagonista conosce il ragazzo che ha tutto ciò che lui ha sempre desiderato: è ricco, spensierato, circondato da amici, è anche più bello di lui (e molto più abbronzato di lui, senza contare che sa sciare...). La loro amicizia è all'insegna dell'ambivalenza e del tradimento, ma è sicuramente basata su una forte attrazione.
Si sente a questo punto che i personaggi della storia sono molto più complessi e curati della media dei prodotti cinematografici (e soprattutto delle pellicole gialle o sui serial killer). Il privilegiato interpretato da Jude Law è in realtà un incostante, in tutto, la delusione di suo padre, un egoista che tradisce la sua compagna ed abbandona le ragazze incinte (con un rimorso che dura per poche ore), un individuo che tratta gli amici come giocattoli nuovi per cui prima si entusiasma e poi si stanca senza molti riguardi, uno che non mantiene le promesse. Agli occhi di Ripley la sua diviene una vita fortunata mal sfruttata. Il protagonista è a metà strada tra amore e rancore e noi non sappiamo fino a che punto il suo piano fosse già programmato dall'inizio. Forse era davvero tentato dalla prospettiva di una nuova vita accanto all'amico, ma è il rifiuto brutale (e la irrisione) di quest'ultimo a decidere tutto. Non sapremo mai se le cose potevano andare diversamente, anche perchè gli omicidi sono sempre casuali. Si snoda a questo punto un lungo (forse troppo lungo) gioco di finzione, astuzia, altissimo rischio ed inseguimento. Il commediante braccato se la cava spesso in modo piuttosto inverosimile, mentre la polizia appare di un'incapacità sorprendente. Ma quello che domina la scena (oltre ad una certa suspance determinata dalla continua attesa dello smascheramento) è la figura di Ripley che di svela poco a poco davanti ai nostri occhi. Ripley ambizioso arrampicatore sociale, insoddisfatto ed avido, dedito al perfezionamento del suo unico talento: diventare un altro. Ma soprattutto Ripley immensamente fragile, che come un bambino guarda a bocca aperta un mondo diverso dal suo, Ripley che si innamora come un adolescente, e non resiste alla tentazione di appoggiare la testa sulla spalla dell'amato. Proprio quando il ragazzo si innamora per la seconda volta il film riesce a trasmettere persino un senso di tenerezza nei suoi confronti. Appropriatamente a Venezia si svolge la scena più esplicativa e toccante. Il protagonista spiega tutto di sé in un chiarissimo dialogo a due: "nessuno pensa di essere un mostro... qualunque cosa faccia nella sua mente ha un senso"; e poi il forte desiderio della confessione, di uscire dalla sua insopportabile solitudine: "poi un giorno incontri una persona speciale e vorresti dirle tutto di te... darle la chiave...". Per questo motivo il finale in un certo senso delude chi aveva fatto sua questa lettura del personaggio. Ripley preferisce "essere un falso qualcuno che una autentica nullità", ma proprio quando ha la testimonianza di essere "qualcuno" per un'altra persona ci rinuncia (e solo per l'improbabile incontro con l'insopportabile ed onnipresente figura interpretata dalla Blanchett). Come se per lui contasse davvero di più rimanere ricco (e completamente solo) getta per sempre la chiave ("mi sono perduto, resterò per sempre in cantina"). Ma è forse inverosimile che una persona del genere resista ad una dichiarazione d'amore che corona i suoi sogni di sempre più della sua attuale posizione sociale; per una sicurezza, tra l'altro, che non sembrava del tutto compromessa e che comunque il finale non garantisce (se ci si continua a circondare di cadaveri si insospettisce non poco...).
Il film non testimonia una particolare bravura del suo regista, vanta piuttosto un intreccio interessante (benché mai pauroso, a dispetto del sangue sprecato) e una buona prova di tutto il ricco cast. Matt Damon fa sicuramente la parte del leone, convincente e bruttino dietro ai suoi occhiali, ma anche apparentemente innocente come il ruolo richiede. Alla Paltrow non resta che ricoprire dignitosamente la sua parte (un po' in ombra) da "donna che perdona tutto al fidanzato perchè solo lei conosce il bambino che è in lui", e lo fa in evidente "stile Grace Kelly". Bravi Law e la Blanchett, bravi gli italiani nelle poche battute strappate al copione. Divertente (o buffa) la partecipazione di Fiorello nella parodia di se stesso in un simil karaoke.
Riunita la stessa squadra "da Oscar" di Il Paziente Inglese, Anthony Minghella sceglie ancora il fascino esotico dell'Italia (Napoli, Ischia, Procida, Anzio, Venezia, Porto Ercole) per filmare la seconda trasposizione (dopo quella di René Clement, Delitto in Pieno Sole, più sottile e meno potente) del romanzo di Patricia Highsmith (1955), con protagonista lo spietato Ripley (ricorrente nei racconti della scrittrice, uno dei quali divenne L'Amico Americano di Wenders). Il regista ben replica la ferocia della scrittrice nel separare mondo maschile stolto e femminile intuitivo, rende più esplicita la natura omosessuale del personaggio, lo tormenta nei sensi di colpa, tende a giustificarne le azioni riprovevoli donandogli un'anima e dei sentimenti, dipingendo come viziati, altezzosi e strafottenti i ragazzi "bene" che frequenta. La sua figura si fa complessa nel momento in cui c'è spesso uno iato (non sempre calibrato) fra ciò che premedita e ciò che matura con gli eventi, fra il freddo calcolo delle azioni e l'influenza incontrollabile d'una patologia. Quella di Ripley è una figura senza carattere, succube d'un forte complesso d'inferiorità, capace di rispondere agli ostacoli solo con l'uso della violenza e del proprio "talento" da impostore con l'aria innocua, da automa che immagazzina i dati e li replica perfettamente (un programma la sua doppia immagine riflessa sul pianoforte). Non è inquietante perché diabolico, ma in quanto mostra anche un lato debole, bisognoso, "innocente", spiazzando i sentimenti dello spettatore. Torbido e passionale narratore, Minghella ha un "talento" nell'essere plateale e riflessivo con eleganza, come pochi sa far sì che le atmosfere psicologiche e gli ambienti filmati penetrino così "sottopelle", sulla scia di Ripley dissimula bene i propri limiti e li trasforma in efficaci studi di carattere. Ottimi gli interpreti, fra cui una Cate Blanchett con personaggio inesistente nel romanzo.