Drammatico

IL SILENZIO DEL MARE

Titolo OriginaleLe silence de la mer
NazioneFrancia
Anno Produzione1947
Durata86'
Tratto dadal romanzo di Vercors (Jean Bruller)
Fotografia

TRAMA

Nella Francia occupata dai nazisti, all’ufficiale tedesco Werner von Ebrennac viene assegnato un alloggio nella casa di un vecchio e di sua nipote. Costretti ad accettare, i due reagiscono all’intrusione evitando sistematicamente di rivolgere la parola all’ufficiale. Per vincere la taciturna ostilità dei suoi ospiti, ogni sera von Ebrennac tiene un monologo di fronte al camino, ricambiato dal loro silenzio. L’ingenua utopia dell’ufficiale – la fusione ideale di Francia e Germania in un’unione perfetta – si scontra con la cinica brutalità dei suoi camerati, che finiscono per irriderlo e schernirlo. Deluso e amareggiato, von Ebrennac chiede il trasferimento sul fronte russo, ma, prima di lasciare definitivamente la casa, riceve una toccante testimonianza d’affetto da parte dei due francesi.

RECENSIONI

Se Vingt-quatre heures de la vie d’un clown è il peccato originale di Melville, Le silence de la mer è invece il suo debutto ufficiale. Folgorato nel 1943 dalla lettura del romanzo di Jean Bruller (in arte Vercors), Melville decide che l’adattamento di quel libro sarà il suo primo film. Sicché nel 1947, con la casa di produzione indipendente fondata l’anno prima per opporsi all’ostruzionismo sindacale, si imbarca in un’impresa quasi proibitiva: realizzare un lungometraggio contro tutto e tutti. Vercors è profondamente contrario all’idea della riduzione cinematografica, poiché considera il suo romanzo parte del patrimonio francese e giudica deplorevole che si tragga un film da un libro così essenziale per la Resistenza (una sorta di profanazione, insomma). La neonata casa di produzione si rivela del tutto inutile, dal momento che senza i diritti di adattamento del libro e senza patente sindacale di regista non era possibile avere diritto ai buoni-acquisto di pellicola. Il progetto nasce in piena clandestinità, dunque, e della clandestinità possiede tutti i tratti eroici: precarietà, povertà, generosità ed entusiasmo. Melville infatti non indietreggia di un solo passo e gioca coraggiosamente al rialzo, promettendo a Vercors di sottoporre il film finito ad una commissione di resistenti, con la clausola che se anche uno solo dei membri si fosse opposto, il negativo sarebbe stato distrutto. Non è tutto: esponendosi personalmente (pagava i collaboratori giorno per giorno, nella consapevolezza che la lavorazione si sarebbe potuta interrompere in qualsiasi momento), Melville sceglie come location la vera casa di Vercors, il luogo in cui lo scrittore, basandosi su fatti realmente accaduti, aveva immaginato la storia. Siamo nel 1947 e si tratta di una delle prime volte che un film di finzione viene girato in ambienti naturali: la scelta è profondamente trasgressiva nei confronti dell’istituzione cinematografica francese e rappresenterà un modello produttivo fondamentale per la Nouvelle Vague. Ma l’aspetto più straordinario dell’intera operazione risiede nella motivazione dell’adattamento, nel perché Melville abbia scelto proprio quel romanzo per girare il suo primo film. La ragione è paradossale: il carattere apparentemente anticinematografico del racconto di Vercors. La quasi totale assenza di movimento e azione nel romanzo rappresenta per il giovane ma già lucidissimo creatore (Melville preferiva questa nozione a quella, impropria, di autore) una sfida estetica esaltante: trasformare uno spazio chiuso e isolato in un contenitore di tensioni psicologiche e fare del silenzio una cassa di risonanza delle passioni. Ebbene, la sfida è vinta sotto tutti i punti di vista: Le silence de la mer è infatti un film sublime, struggente e controllato, di un equilibrio stilistico supremo. Lo sguardo di Melville, capace di abbassare sotto zero la temperatura emotiva della narrazione e di incendiarla all’interno, fa della vicenda dell’ufficiale nazista ospitato forzatamente nella casa di due francesi (l’anziano padrone di casa e la giovane nipote), una sorta di gelido mélo bellico declinato secondo le forme del dramma interiore. L’illusoria speranza dell’ufficiale (l’unione di Francia e Germania in un matrimonio perfetto) non manca infatti di riverberare sull’anomala situazione domestica: come la Germania riuscirà a vincere la naturale ritrosia della Francia sul piano politico, così lui, mostrando tutta la purezza e la nobiltà dei suoi sentimenti, riuscirà a sconfiggere la muta ostilità dei suoi ospiti e a sposare l’altera ragazza francese. Spalleggiato dal talento fotografico di Henri Decaë (anche per il futuro direttore della fotografia della Nouvelle Vague si tratta del primo lungometraggio in assoluto), Melville si sbizzarrisce in soluzioni visive estreme (su tutte un uso assolutamente stupefacente della profondità di campo) senza tuttavia precipitare nello sperimentalismo dilettantesco o nel virtuosismo fine a se stesso. Pur osando raccordi di indubbia audacia (una dissolvenza incrociata collocata nel cuore di una sequenza raccorda la cattedrale di Chartres all’Ecole Militaire di Parigi!) e angolazioni marcatissime (abbondano le riprese dal basso che enfatizzano il carattere quasi delirante dei monologhi dell’ufficiale nazista), Melville, anche grazie a un montaggio serratissimo e stringente, non smarrisce mai il senso della misura e della compostezza stilistica, forgiando al contrario un’opera di salda, tetragona classicità. Ed è proprio questo che rende il primo lungometraggio di Jean-Pierre Melville un film di cruciale importanza nella storia del cinema francese: l’equilibrio tra l’esemplarità dell’impostazione classica e la sorvegliata sperimentalità delle soluzioni visive, unequilibrio reso ancora più emozionante dallo smorzato romanticismo del commento musicale di Edgar Bischoff. A Rui Nogueira, Melville dirà: “Ma quando finii Il silenzio del mare avevo imparato una quantità di cose e, tra l’altro, a essere classico, a non voler rivoluzionare il cinema! Non ho mai voluto reinventare il cinema, continuo a detestare le invenzioni che vengono regolarmente rinnovate!”. Chapeau bas!