TRAMA
Secolo XVI. Antonio, mercante di Venezia, concede un prestito a Bassanio per permettergli di corteggiare la splendida ereditiera Porzia; ma a sua volta si indebita con Shylock, usuraio ebreo, che chiede come pegno una libbra di carne umana.
RECENSIONI
Michael Radford recapita un corretto adattamento scespiriano che punta forte sul gioco attoriale: fin dall’inizio si barcamena tra suggestioni personali e soluzioni didascaliche (la voice off introduttiva), restituendo una laguna a tinte fosche adeguatamente smorzata dallo scetticismo dell’ironia. Il classico montaggio alternato della narrazione corale è riscattato da una secchezza di fondo, essendo il quadro d’ambiente spesso tratteggiato con poche essenziali battute (gli sputi contro gli ebrei: la condotta di Shylock non è dunque intrinsecamente malvagia, ma soltanto un anello nel circolo dell’intolleranza); l’andatura possiede la dote dell’equilibrio, con gli innesti leggeri nella dimora di Porzia (il confronto con i corteggiatori) alternati al pedinamento del perfido giudeo, traditore di autentico tormento (il rapporto con la figlia). Ponendo come cifra costante l’assurdità nella legge degli uomini la fase processuale si tuffa nel brechtiano: un cavillo normativo introduce l’elemento grottesco fino a rendere un’insistita sequenza un corpus unico compatto e coinvolgente, che si dimostra culminante a posteriori nel disvelamento del personaggio en travesti. Con diligente rispetto del testo originale Radford azzecca l’introspezione drammatica nel mantenimento letterale dei monologhi; dicevamo questione d’attori e se Fiennes è imbambolato come d’uso, se Irons è impeccabilmente disperato, se la Collins è una gradevole bambola gonfiabile, un Pacino arrochito e stizzoso deposita negli annali l’ennesima prova d’ombroso spessore gutturale (Un ebreo non ha mani, membra, corpo, sensi, sentimenti e passioni?). Nonostante tutti i limiti della megaproduzione (tempi e spazi equamente ripartiti tra gli interpreti, come da contratto) stavolta non c’è da lamentarsi.