TRAMA
Spagna, 1944. La guerra civile si è conclusa ufficialmente da cinque anni, ma nei boschi la guerriglia continua. La giovane Ofelia e sua madre Carmen, prossima al parto, raggiungono il quartier generale di Vidal, capitano dell’esercito frachista e secondo marito di Carmen. Nei pressi della nuova casa si trova un labirinto. Lì Ofelia incontra un fauno che le rivela la sua vera identità: la ragazzina è la principessa Moana, erede di un magico regno sotterraneo, e dovrà affrontare tre prove per poter ritornare a casa.
RECENSIONI
Un liquido bruno scorre nelle viscere della terra, (ri)portando alla luce il sogno di una principessa inquieta, figlia di un reame in cui non esistono la menzogna e il dolore, decisa ad avventurarsi nel mondo degli umani e destinata a perdersi e ritrovarsi (forse). Guillermo Del Toro mescola di nuovo (dopo La spina del diavolo) incubi infantili e memorie storiche, ma stavolta il cocktail è decisamente più riuscito. El laberinto del Fauno è una favola nera che ha dalla sua, se non il pregio dell'originalità, quelli di un eclettismo mai pedante e di un sicuro equilibrio fra invenzioni visive e tensione narrativa. Ofelia (la straordinaria Ivana Baquero) è una Dorothy immaginaria (ma anche no) che affronta prove di volta in volta degne di un'Alice carrolliana (l'albero cavo), di un'eroina classica (il Minotauro alla mensa di Persefone) e di un patriarca (il sacrificio conclusivo). Tutto avviene nella mente della ragazza, ma al tempo stesso intorno a lei: ogni dettaglio del suo meraviglioso arabesco di morte e rinascita è un riflesso della vita reale. Ofelia segue le tracce di una natura ferita dalla follia umana, intravede la fame e il terrore dei resistenti, assiste all'agonia della madre, s'impossessa degli strumenti della violenza ma si rifiuta di usarli, scegliendo di non adeguarsi alla logica perversa imposta dal patrigno e trovando proprio in questa rinuncia la chiave per una salvezza che non può che essere immaginaria, quindi libera dalle nebbie e dal fango di un mondo prigioniero di un'ora immobile. Il regista segue con passo felpato la giovane eroina, costruendo attorno alla sua minuta figura tableaux autunnali di raro incanto (uno su tutti: la galleria degli orrori), e riserva un tronco sberleffo al mostruoso universo degli adulti, in cui spicca la figura del capitano Vidal, travet della macelleria bellica afflitto da penose manie di grandezza (Sergi López, inarrivabile). Certo, non tutto è perfetto (i dialoghi risultano a volte stagnanti e il finale non è all'altezza delle visioni che lo precedono e lo preparano), ma molti registi (in particolare uno, ossessionato dalle fiabe... e dall'acqua) potrebbero imparare qualcosa dalla sfaccettata semplicità con cui Del Toro dipinge i suoi mondi possibili.
Dopo un passato registico poco decifrabile sfociato in due ultime opere perversamente speculari, Del Toro tenta il colpaccio definitivo: Blade II era infatti un sequel di genere girato con (finalmente) sicuro talento, Hellboy un’operazione sulla carta più “seria” rivelatasi però occasione mancata di uscire una volta per tutte allo scoperto. Questo Il labirinto del fauno è la virata decisa verso l’autorialità. La strada scelta dal regista messicano è però semplicistica e priva di vera personalità: la contaminazione tra realtà storica “inaccettabile” e fuga nel sogno ha i suoi fin troppo noti precedenti (Train de vie, La vita è bella) mentre l’armamentario fiabesco virato al dark è il figlio (estremista) di Tim Burton. Quello che fa Guillermo Del Toro, dunque, è dire cose risapute, buttarla sul poetico/generico con sfondo Storico nobilitante, confermarsi regista tecnicamente preparato e confezionare alcune sequenze memorabili; su tutte: la prima apparizione della fata-insetto, chiusa con un bello e avvolgente movimento di macchina circolare (semisoggettiva della fata) ma soprattutto la discesa di Ofelia nella tana dell’Orco Bianco, gioiellino di suspense splendidamente surreale e “pittoricamente” assai suggestivo.