TRAMA
Abbandonato dall’amante, Aldo vaga per la pianura padana, finché…
RECENSIONI
L’incomunicabilità non è un diversivo adatto solo al ceto medio-alto: lo prova questo dramma on the road (e sull’acqua) ossessivamente circolare.
Alla base del film troviamo l’archetipo narrativo per eccellenza: la perdita dell’amata, che induce l’eroe a cercare una riparazione. Ma la donna è poco amante e forse poco amata, la spedizione dell’eroe si risolve nella reiterazione della mancanza iniziale, e il vero oggetto per cui si contende (contro se stessi) è la libertà da quel male oscuro che rende l’esistenza uno sterminato deserto, rosso o grigio poco importa.
L’odissea del protagonista non può concludersi, poiché non c’è una casa cui ritornare. L’idea stessa di progressione è abolita: tutte le donne che Aldo incontra sono la stessa donna (quella che lo ha lasciato), i luoghi che visita, semplici punti di sosta nei quali non si può trovare conoscenza (una ragione di vita); il tempo cinematografico è come congelato in lunghi piani-sequenza che attanagliano i personaggi, sospesi nel vuoto di pensieri e ambienti sempre più cupi.
Da un simile universo non si esce se non con una cesura definitiva. Salendo i gradini della torre, Aldo bissa simbolicamente il proprio percorso esistenziale (una sequenza di passi identici, verso un dolore chiaramente percepibile solo al suo acme) e rinuncia a ogni finzione. Il conforto dovuto alla presenza della figlia (/di un progetto sociale qualsiasi) si rivela illusorio: l’uomo è solo, in un nulla così insignificante da non aver neppure diritto alla lettera maiuscola. Davanti alla non-vita, persino la morte è priva di significato.
Un grido risuona nel deserto, ma i sentieri si concludono là dove iniziano.
