Drammatico

IL GRANDE COCOMERO

TRAMA

Arturo, neuropsichiatra infantile, affronta il caso di Pippi, una dodicenne epilettica…

RECENSIONI

Il male oscuro la cui ombra si protende sulle terre dell’infanzia (e non solo) è il tema affrontato nel terzo lungometraggio di Francesca Archibugi, puntigliosa analista delle insignificanti, quindi trascurate, tragedie quotidiane che hanno nella famiglia (vista come nucleo di affetti scelti, più che come somma di parenti subiti) la propria origine e una (speranza di) soluzione.
Dramma ospedaliero – psichiatrico consciamente minimalista, “Il grande cocomero” tenta di mescolare con naturalezza i registri della narrazione, inserendo, soprattutto all’interno di sequenze potenzialmente ricattatorie (la parte dedicata al personaggio di Marinella), rapide pennellate umoristiche, annotazioni fuggevoli (il wurstel intinto nel caffè), scherzi visivi (affidati in gran parte ai momenti di passaggio fra le diverse scene) che costituiscono un divertimento (nel senso letterale del termine) al percorso principale del film, un cammino di crescita sentimentale che implica una battaglia contro demoni del passato (il rimorso di Arturo verso l’ex moglie, interpretata dalla regista stessa) e del presente (il mistero che circonda il padre di Pippi).
I colpi della sceneggiatura sono talvolta inefficaci (quelli comici quasi sempre, per giunta goffi e manierati), qua e là si ha l’impressione che la regista miri a suscitare la commozione dello spettatore per distoglierlo dai difetti dell’ordito del dramma e/o dalla monotona opacità della messinscena, gli attori non sempre riescono a evitare la macchietta o la caricatura [esemplare in questo senso il prete di Victor Cavallo, da operetta (per usare un eufemismo)].
Al termine della travagliata ricerca del senso della vita nella malattia, le cose che restano davvero sono lo strazio disegnato dal corpo e dalla voce di Alessia Fugardi, la prova a tratti intensa e (almost) no-glamour di Anna Galiena, e, soprattutto, la figura borbottante e (banale dirlo) pasoliniana dell’infermiera Laura Betti, l’unico essere che non viene toccato dal miracolo della piccola risurrezione psichica che abbraccia, in modi diversi, i personaggi: una piccola parte antipatica che diviene letteralmente simpatica, grazie a un’artista che sa mettersi in gioco con preziosa spregiudicatezza.