Drammatico

IL FONDAMENTALISTA RILUTTANTE

Titolo OriginaleThe Reluctant Fundamentalist
NazioneU.S.A./Gran Bretagna/Qatar
Anno Produzione2012
Durata130'
Tratto dadall'omonimo romanzo di Mohsin Hamid
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Nel 2010, mentre imperversano le manifestazioni studentesche a Lahore, un giovane pachistano, il professor Changez Khan viene intervistato dal giornalista americano Bobby Lincoln. Changez, che ha studiato a Princeton, racconta a Lincoln il suo passato di brillante analista finanziario a Wall Street. Parla del luminoso futuro che aveva davanti, del suo mentore, Jim Cross, e della bellissima,sofisticata Erica, con la quale si preparava a condividere il futuro. All’indomani dell’11 settembre, il senso di alienazione e il sospetto con il quale viene improvvisamentetrattato, lo riporta nella sua terra di origine e dalla sua famiglia, alla quale è molto affezionato. Il suo carisma e la sua intelligenza lo fanno subito diventare un leader sia agli occhi degli studenti pachistani che lo adorano sia del governo americano che lo guarda con sospetto.
(dal pressbook del film)

RECENSIONI

«Il punto è che mercoledì [12 settembre] da queste parti c’è una strana crescente tendenza a esporre la bandiera. Se lo scopo della bandiera è dichiarare una presa di posizione, sembra che arrivati a una certa densità di bandiere rappresenti più una presa di posizione il fatto di non esporne una. Non è del tutto chiaro quale sarebbe questa presa di posizione. E se uno semplicemente la bandiera non ce l’ha? Dove se le sono procurate, tutti quanti, queste bandiere, specie quelle piccoline da attaccare alla cassetta delle lettere? Sono tutte avanzate dal quattro luglio e la gente se le conserva come le decorazioni natalizie? Come mai sono in grado di fare questa cosa?» [1]. David Foster Wallace racconta le reazioni immediate all'attacco eccessivo di un nemico invisibile e, procedendo attraverso la presa di coscienza istantanea e sconvolgente relativa alla vulnerabilità degli Stati Uniti, riporta alla mente l'allarmismo e la nascita di uno stato di guerra permanente. Molte sono le pellicole che hanno avuto il medesimo intento seppur in forma differente: mentre Zero Dark Thirty pone le basi per rifondare una verità mancata attraverso un processo di disvelamento, Il fondamentalista riluttante vuole concentrarsi su basi totalmente differenti; Mira Nair si muove tra i confini di Oriente e Occidente riportando alla luce discrepanze e contraddizioni, diversità e divergenze mai comprese entro confini così rigidi, così paralizzati da tendere all'assolutismo più futile e inconsistente. Se di elaborazione del lutto stiamo parlando, siamo davanti alla messa in forma di banali evidenze, da una parte il carrierismo, la bramosia e la genesi del mostro (incarnato dal potere finanziario), dall'altra il tradizionalismo evocato dal canto religioso, dal rispetto del dogma, dall'importanza dell'edificio famigliare. Nessuna mezza misura, nessuna sfumatura, due imperi per due colori opposti: Changez (Riz Ahmed) prima ingranaggio di un sistema che privilegia il valore di scambio all'individuo, poi parte integrante del credo islamico, agitatore politico, precettore della rivoluzione.

Se, nel romanzo omonimo di Mohsin Hamid, il protagonista è destinato a diventare segno indelebile di una terra d'origine bisognosa di un'identità politica e soprattutto collettiva viceversa il film si concede per tautologie, per le forme vuote di un flashback interminabile e mellifluo, attraverso una scenografia tanto rigorosa quanto vaga nella speranza mancata di voler indagare lo spirito profondo di un popolo. È innegabile che Mira Nair sia tra quei registi interessati a dare nuovi nomi alle cause, nuovi luoghi alla verità: una verità che non si trova imbrigliata all'interno dei confini americani, bensì altrove, in Pakistan dove un sogno della nazione sembra risultare impossibile; e per farlo ritorna a quel mucchio di immagini infrante, ai filmati dell'attentato che Changez osserva dalla camera di un albergo e da cui rimane affascinato per la furia eccessiva e, sopratutto, impensabile; seppur Il fondamentalista riluttante voglia essere un attacco lucido agli Stati Uniti mostrando la mistificazione e l'ostracismo con cui il grande Impero ha dato vita al nuovo nemico invisibile e non classificabile in un'individualità, evidenzia con manicheismo macchiettista le prassi della politica del terrore senza dare particolare importanza alle riflessioni personali del protagonista. Neutralizzata la forza metonimica delle immagini dell'attentato e sprecata nella prevedibilità disarmante dei dialoghi con il giornalista (Liev Schreiber), il film viene inutilmente costellato in apertura e in chiusura da risvolti drammatici evocati solamente da un ritmo convulso teso a mostrare la difficoltà di fare luce sugli eventi. Se in accordo con la Sontag «le ideologie creano archivi di immagini probatorie e rappresentative che incapsulano idee condivise, innescano pensieri e sentimenti facilmente prevedibili» [2], nel film della Nair i filmati dell'11 settembre passano inosservati, non fissano l'evento, non creano illusione di consenso. Changez ritorna nel suo paese di origine ma muore senza avere le spiegazioni che gli spettano: si rende ombra di una nazione che riconosce la sua immobilità nel fondamentalismo; Contrariamente Bobby e Erica diventeranno il simbolo dell'America delle bandiere che ha fatto del vittimismo il suo impegno ideologico confinato tra la paura e la celebrazione. Due mondi diversi implicitamente direzionati verso lo stesso oggetto: il terrorismo. Una parola priva di contenuto, un concetto formale che mette in scena attori che appartengono «allo stesso mondo, quello nichilista del danaro, della potenza cieca, della rivalità cinica, dell’oro nascosto delle materie prime, del disprezzo totale della vita comune della gente, dell’arroganza di una certezza di sé fondata sul vuoto»[3].

[1] DAVID FOSTER WALLACE, La vista da casa Thompson in Considera l'Aragosta, Torino, Einaudi, 2006.

[2] SUSAN SONTAG, Davanti al dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2003, p. 74.

[3] ALAIN BADIOU, La filosofia e l'11 Settembre in L'espressione, Napoli, Cronopio, 2003, p. 50.