Drammatico, Recensione

IL DUBBIO (2008)

Titolo OriginaleDoubt
NazioneU.S.A.
Anno Produzione2008
Durata104'
Fotografia
Scenografia
Costumi

TRAMA

La direttrice di un Istituto Cattolico, Suor Aloysius, sospetta, senza riuscire a provarlo, che il parroco, Padre Brendan, abbia avuto rapporti sessuali con un ragazzino di colore poco integrato; ingaggia quindi una vera e propria battaglia con lo scopo di allontanarlo dalla scuola.

RECENSIONI

L'unico vero dubbio che il film di Shanely pone riguarda non la materia narrativa, ma le intenzioni del regista. Non è chiaro, infatti, se Shanley voglia mettere in scena una vicenda fatta di piccole guerre di potere e risentimenti personali in un istituto cattolico alle soglie dell'epocale cambiamento di costumi che investirà la Chiesa con il Concilio Vaticano II, o piuttosto un apologo sulla Verità, che scompare dietro le maschere polimorfe entro cui si nasconde, e sulla condizione di incertezza dell'uomo, incapace di comprendere il groviglio di cose, fatti e persone attorno e dentro di sé. Forse tutte e due le cose insieme, ma il regista non riesce a gestire la complessità che suggerisce e dà vita a un prodotto riuscito solo a metà. Di sicuro Shanley riesce a creare atmosfera, e per atmosfera intendo il risultato delle interazioni tra l'ambiente e i personaggi e tra i personaggi stessi, tutte mirate a sottolineare quel contrasto di fondo che trova il suo correlativo oggettivo nell'istituto: luogo chiuso e retto da regole severe e intransigenti, ma sottoposte alla continua pressione delle potenti spinte centrifughe della modernità libertaria, che ancora riescono a contenere. Non è lo scontro della gioventù contro l'autorità, i ragazzi sono poco più che comparse, ma quello tra due modi di vedere e vivere la vita, non solo dal punto di vista ideologico, ma nella pratica quotidiana, come Shanley sottolinea mettendo in serrata opposizione Suor Aloysius (Streep) e Padre Brendan (Seymour Hoffman) per quello che fanno più che per quello che pensano: si vedano i pranzi, frugali e silenziosi quelli di lei, abbondanti e ridanciani quelli di lui, i loro comportamenti in classe e il diverso modo di parlare. Quello che Shanley, invece, sembra non essere in grado di dominare è il tema portante, ovvero il dubbio: mette in moto una serie di strategie narrative che portano lo spettatore a immaginare l'altro che si cela dietro il volto amichevole e aperto di Padre Brendan, conferendo a quel personaggio un'ambiguità (si veda, secondo me più di qualsiasi altra cosa, il monologo morboso sulle unghie dei ragazzi) che mina la sua versione dell'accaduto; al contrario in Suor Aloysius e nel modo in cui Shanley la presenta non c'è nulla che ci induca a non crederle oppure, più sottilmente, a percepire quello sgretolamento di certezze che, visto il crollo finale, dovrebbe subire: la direttrice dell'istituto attira su di sé la piena fiducia dello spettatore (e a questo forse contribuisce anche il carisma irresistibile di Meryl Streep, certo non paragonabile all'istintiva antipatia che suscita Philip Seymour Hoffman, pur bravissimo) che di lei coglie l'umanità sofferta, ma certo non i dubbi, confinati - ed è la scelta più facile che si possa fare - in un finale ad effetto che lascia quantomeno perplessi. Shanley non riesce quindi a creare quell'equilibrio fatto di pesi e contrappesi in grado di mantenere sullo stesso piano le due verità, condizione essenziale perché il dubbio prenda consistenza materiale, facendo perdere allo spettatore il timone della vicenda.

Il commediografo John Patrick Shanley aveva avuto una certa notorietà negli anni ottanta, al cinema, per la sceneggiatura di Stregata dalla Luna, che facilitò il suo esordio dietro la macchina da presa con Joe Contro il Vulcano, mediocre ma non disprezzabile favola esistenziale. È tornato in auge con questo testo teatrale del 2004 a quattro personaggi, per cui ha vinto il premio Pulitzer, in cui abbandona quella che era la sua cifra stilistica, l’unione poco proficua di commedia e dramma, ben visibile nello script approntato per Dentro la Grande Mela di Tony Bill (altro spaccato memoriale, sempre ambientato nel 1964). Qui riserva i tocchi ironici solo alle figure comprimarie, mentre l’intensità drammatica si propaga in modo rilevante, grazie a due interpreti di mostruosa bravura. Il tema del dubbio apre e chiude l’opera: c’è quello, iniziale, del sermone del prete (che si rivelerà mero sofisma di un uomo incapace di coscienza) e quello, finale, della preside, invero ambiguo e aperto, incentrato sulla fede, sulla Chiesa in generale o sulla virtù, nel momento in cui presume che il dubbio appartenga alle persone di valore. Il dubbio è anche usato come suspense di un finto-giallo, in cui la colpa attraversa la rigida e ingiusta suora che accusa il prete e, in seguito, percorre il prete affabile e progressista che, in realtà, sta ingannando tutti. Quando la verità viene a galla, Shanley cerca il coup de théatre ribaltando i ruoli ma, forse involontariamente, scrive anche un trattato filosofico sulla caccia alle streghe della pedofilia, giustificando il sospetto senza prove per perseguire un bene più “alto”.