Documentario

IL DIAMANTE BIANCO

Titolo OriginaleThe White Diamond
NazioneGermania/Giappone/Gran Bretagna
Anno Produzione2004
Durata90'
Sceneggiatura
Montaggio

TRAMA

Graham Dorrington, ingegnere aeronautico britannico, coltiva un progetto personale da più di dieci anni: sorvolare la foresta pluviale con un minuscolo dirigibile ad altissima manovrabilità e usarlo come piattaforma per studiare e filmare le cime inesplorate degli alberi. L’area prescelta per l’impresa è quella delle Cascate di Kaieteur della Guyana, in Sudamerica.

RECENSIONI

Filmare l’isolamento. Di un’idea, di un corpo, di un’ossessione. Questo il cinema di Herzog, un cinema attraversato dall’urgenza di magnificare la grandiosità dei sogni umani e al tempo stesso dall’esigenza di mostrarne l’intrinseca irrilevanza, l’irrimediabile insensatezza, l’esaltante ottusità. Ed è esattamente in questo grumo contraddittorio che il cineasta tedesco affonda ancora una volta lo sguardo con The White Diamond, documentario sul tentativo dell’ingegnere aeronautico Graham Dorrington di far volare il suo – alla lettera – piccolo e sofisticato dirigibile sulla foresta pluviale della Guyana per filmare le cime inesplorate degli alberi. L’area prescelta, le Cascate di Kaieteur, si presta perfettamente all’impresa, dal momento che qui “paesaggi incontaminati e diversità di flora e fauna si fondono in perfetta unità”. Ma il progetto dell’ingegnere britannico non è soltanto animato da uno spirito avventuroso e pionieristico, ha anche un lato oscuro e vagamente colpevole: undici anni prima il documentarista Dieter Plage, autore di numerosi film sulla natura selvaggia, è morto a causa di un incidente verificatosi mentre sorvolava la foresta di Sumatra su un dirigibile realizzato dallo stesso Dorrington. Herzog non si lascia sfuggire l’occasione e concentra il focus sull’ombrosa esaltazione di questo personaggio fortemente teatrale, seguendone le oscillazioni emotive e le reazioni logorroiche con sorvegliata adesione. Pur istigando la straripante verbosità e la spontanea teatralità di Dorrington con riprese prolungate e galvanizzanti, il cineasta tedesco si preoccupa di abbassare la temperatura del documentario con una voce narrante misurata e distaccata che avvolge la visione in un’atmosfera di rasserenante solennità. Ed è in questa atmosfera pacatamente contemplativa che si collocano le sequenze di volo: il dirigibile si solleva lentamente in aria e galleggia sulla superficie superiore della foresta pluviale, riprendendo da vicino, quasi toccandoli, anfibi, rettili e insetti immersi nella vegetazione lussureggiante. Immagini herzoghianamente mai viste. Non pago di smorzare i toni drammatici della materia, Herzog neutralizza definitivamente la febbrile eccitazione di Dorrington spostando l’attenzione su un uno dei portatori locali prima e sulle centinaia di migliaia di rondoni che volteggiano intorno alla cascata poi, mostrando chiaramente quanto siano le questioni irrisolte e irresolubili (il primo è un compassato curatore rasta abbandonato della famiglia emigrata in Europa più di trent’anni fa e i secondi gli unici detentori del leggendario segreto della cascata) ad interessarlo più di ogni altra cosa, trionfi compresi. Di non scarsa rilevanza, nella creazione di un ambiente sonoro arcano e rarefatto, il suggestivo accompagnamento musicale del violoncellista olandese Ernst Reijseger affiancato dal coro sardo Tenore e Concordu de Orosei.