
TRAMA
L’imperatrice Elisabetta d’Austria è idolatrata per la sua bellezza e per aver ispirato le tendenze della moda. Nel Natale del 1877 compie 40 anni ed è considerata una donna anziana. Deve cercare di mantenere la sua immagine pubblica.
RECENSIONI
Sono passati i tempi della principessa Sissi spontanea e ingenua di Romy Schneider, nella celebre trilogia di fine anni ‘50. La visione di Marie Kreutzer è più affine a quella, più cinica e disillusa, che ne fece Luchino Visconti, sempre tramite la Schneider, in Ludwig. La regista austriaca, però, non si limita a eliminare ogni afflato romantico per descrivere Elisabeth di Baviera, imperatrice d'Austria e regina d'Ungheria, ma adatta, e piega, il personaggio ai nostri tempi, e al suo sentire, declinandola nella versione "principessa triste". La rappresentazione cinematografica che ne deriva si accoda alla Marie Antoinette di Sofia Coppola, alla Diana Spencer di Pablo Larraín e anche alla Miss Marx di Susanna Nicchiarelli. A emergere è un personaggio femminile, più descritto che scavato, alla soglia dei quarant'anni, quando la maturità rende più saggi ma inevitabilmente meno giovani. Per Elisabeth tutti gli sforzi si indirizzano verso l’obiettivo, che diventa ossessione, di mantenersi in forma fisicamente, in linea con le aspettative di un ruolo prevalentemente decorativo contaminate da un narcisismo di fondo che le impedisce di scendere a patti con lo scorrere del tempo e le proprie scelte di vita.
Nella messa in scena adottata la regista si affida al carisma di Vicky Krieps, brava e respingente come ormai ci ha abituati, del resto non cerca l’empatia, ma insegue la vita, e non per forza quella vera (la principessa morì assassinata da un anarchico italiano). Di una rilettura personale quindi si tratta, capace di raggiungere il suo obiettivo grazie a un insieme di elementi che funzionano e la cui sinergia contribuisce a creare un punto di vista: dalla forza evocativa delle scenografie, nella cui decadenza la protagonista sembra specchiarsi, all’incisività dei costumi, gabbie in cui la carne viene imprigionata e messa a tacere, con il collante di sonorità che stridono piacevolmente nell’abbracciare la contemporaneità. Sono piccoli gesti di ribellione, tracce di pensieri, emozioni intercettate, gli elementi su cui la regista si sofferma per costruire la sua Elisabeth, per fortuna non facendone una martire, ma un personaggio conflittuale interessante proprio per le sue contraddizioni. Nulla di così rivoluzionario o particolarmente originale, visti anche i recenti e illustri predecessori cinematografici, ma in grado di regalare suggestioni.
