TRAMA
La drammatica storia di due sorelle di colore nell’America contadina, bigotta e povera d’inizio Novecento, della loro traumatica infanzia e della successiva lotta per l’emancipazione sociale e sessuale
RECENSIONI
1985: l'anno che taglia in due i lunatici (non solo cinematograficamente) e fiammeggianti anni Ottanta; l'anno spartiacque della filmografia di Steven Spielberg.
Dev'essere bello affermarsi come colui che più di ogni altro ha scosso economicamente l'industria hollywoodiana tra gli anni Settanta e Ottanta e che ha inanellato una serie di film in grado di portare l'asticella del box-office ad altezze senza precedenti. Molto meno agevole dev'essere dimostrare di saper mettere d'accordo pubblico e critica: questa, presumibilmente, è la condizione con la quale Steven Spielberg si appresta a dirigere Il colore viola. La miopia con cui veniva considerato il più commerciale - in questo caso con accezione negativa - tra i ragazzi terribili della New Hollywood è oggi superata, ma appena usciti dagli anni Settanta, il solo fatto di aver provocato una scossa tellurica nel sistema produttivo nordamericano, riuscendo a far sognare porzioni enormi di spettatori, bastava per calamitare ogni anatema artistico.
Il colore viola arriva, in questo senso, come il film giusto al momento giusto. Innanzitutto perché si tratta dell'adattamento dell'omonimo romanzo di Alice Walker, scrittrice afroamericana e attivista femminista per i diritti delle donne di colore e delle lesbiche. Si è dunque a distanze siderali dalla variopinta e caleidoscopica fantasia di opere precedenti come I predatori dell'arca perduta o 1941: Allarme ad Hollywood, una forbice per certi versi indiscutibile, per altri, come vedremo, solo apparente. La storia rappresenta, quantomeno ad una lettura di primo grado, una novità all'interno del cinema spielberghiano: il regista de Lo squalo compie un'ulteriore passo verso il definitivo svezzamento dai propri padri cinematografici, ed in particolare taglia i ponti con il suo modello di riferimento principale ovvero con il cinema di John Ford, elevando la figura femminile fino al punto apicale della narrazione, mettendo così al centro dell'opera il suo corpo e il suo sguardo.
Il processo di disvelamento dell'identità femminile del film e della donna all'interno del medesimo avviene attraverso la dialettica tra due sguardi, quello maschile e quello femminile. É su quest'impalcatura che Spielberg definisce le modalità narrative e stilistiche della sua opera, è sulle differenze razziali, economiche, estetiche e soprattutto sessuali, presenti nel romanzo di partenza, che l'autore mette in scena due visioni del mondo antitetiche, corrispondenti a due differenti sensibilità e a opposti atteggiamenti della macchina da presa. Viene messo in scena un punto di vista maschile che tende ad escludere dal suo campo visivo la donna e tutto ciò che è altro da sé, uno sguardo selettivo, aggressivo, conservatore e castrante, in opposizione ad uno femminile volto all'apertura e all'accoglienza, voglioso di rompere gli orizzonti della morale comune, vincere la legge del più forte che elegge il maschio a despota e sfruttatore della comunità. Un punto di vista estremamente soggettivo figlio della natura epistolare del romanzo di partenza - che vira audacemente nella direzione del fiabesco e che configura le due protagoniste come degli E.T. alla ricerca della propria rivincita, dando potere, come sempre nel cinema del regista, alle emozioni e denunciando una dimensione sottotestuale non così lontana da quella che caratterizzava film come Incontri ravvicinati del terzo tipo. Se nel film del 1977 dietro l'avventura fantascientifica si nascondeva l'alienazione di un padre esuberante ed emarginato che si rifugia nella fuga, ovvero nel sogno di un'altra vita al di là del cielo, allo stesso modo nel film del 1985 la dimensione fantastica viene in soccorso alle due sorelle per fare da antidoto ad una realtà difficile da sostenere.
Un film che progressivamente ribalta i superficiali convincimenti di partenza e che, con la sua tenace ambizione volta alla ricerca dello straordinario all'interno dell'ordinario, del sorprendente nel terrificante, del bello nell'ignoto (proprio come in E.T.), ci offre una nuova maniera di guardare le cose, una nuova visione del mondo impostata sullo sguardo dell'altro.