TRAMA
Quando “Spotlight”, il tenace team di reporter del Boston Globe, scava nelle accuse di abuso contro la Chiesa cattolica, la lunga indagine svela l’insabbiamento che per decine di anni ha protetto i livelli più alti del sistema religioso, legale e amministrativo della città, rivelandolo a tutto il mondo.
RECENSIONI
Film di sapore quasi retrò, l’opera di Tom McCarthy rievoca quel cinema civile americano anni Settanta che metteva in scena battaglie e inchieste giornalistiche, gettando luce su scandali e malcostume. Su quel solco (Lumet è, per il regista, un mentore dichiarato) la messa in scena del lavoro di indagine svolto dal team Spotlight del Boston Globe (vincitore per questo reportage investigativo del premio Pulitzer) sui casi di pedofilia a Boston (numeri impressionanti: 249 sacerdoti implicati, quasi 1500 vittime), su cardinali che hanno sempre saputo, su documenti sigillati, su omertà inaccettabili, rende conto, con la limpidezza argomentativa propria di una cultura cinematografica (quella hollywoodiana, che non sacrifica comunque mai il lato spettacolare) delle subdole tecniche di persuasione, degli abusi anche piscologici esercitati dai ministri della Chiesa, delle sottili strategie per circoscrivere e neutralizzare le conseguenze pubbliche del fenomeno e puntualmente insabbiarlo attraverso laboriose procedure. Degli accordi sottobanco, delle risoluzioni bonarie lontane da qualsiasi forma di ufficialità, di come le autorità ecclesiastiche non abbiano fatto mai nulla per arginare gli episodi o per mettere in guardia le potenziali vittime delle violenze. La ricerca di testimoni e l’ottenimento della loro fiducia fanno comprendere ai giornalisti della testata le dimensioni reali del caso, quali segni questo ha lasciato sulle persone coinvolte (condannate a convivere con quell’esperienza per tutta la vita), quanto duro sia ingaggiare un confronto con un’istituzione come la Chiesa Cattolica. Cosa vuol dire, in definitiva, farle causa.
Colpisce, soprattutto in un paese come il nostro che un film del genere non se lo può politicamente permettere (intendo un film commerciale e didascalico come questo, fuori dal circuito autoriale e d'essai - Pianese Nunzio, 14 anni a maggio di Antonio Capuano venne comunque sottratto alle sale in tempi rapidissimi, nonostante il successo, ed è sparito dalla circolazione -), la denuncia a chiare lettere di un comportamento che non si esita a definire sistematico e predatorio, l'esposizione lineare delle dimensioni del fenomeno e della sua natura (si proclama a chiare lettere che esso, essendo di natura psichiatrica, è indissolubilmente legato al modus vivendi del clero). Il tutto narrato in modo piano e classico, con uso cosciente di cliché di genere e attraverso vari fili (i percorsi dei singoli giornalisti) con un rigoroso crescendo, senza patetismi (nessuna enfasi o svenevolezza) né trionfalismi (se è vero che sono il team e il suo lavoro il vero centro del film, non si tace sul fatto che il Boston Globe avesse evidenza degli avvenimenti già dieci anni prima dell'inchiesta), con superba resa delle dinamiche ambientali. Gli ottimi interpreti fanno il resto.
Presentato fuori concorso a Venezia, ma meritevole della competizione. Premio Oscar: miglior film.
No comment sull'incongrua titolazione italiana.
Il lato civile ed edificante del cinema di Tom McCarthy si nasconde dietro la formula rodata del film di inchiesta giornalistica: accade tutto secondo manuale, in velocità, con poche pennellate efficaci per descrivere i personaggi, con tutti i muscoli del cervello impegnati nel braccio di ferro fra ricerca della verità, insabbiamenti ed ostacoli burocratici. Spot(light) su di un caso eclatante (l’Italia, nel film, non figura nell’elenco di luoghi dove i casi di pedofilia dei prelati sono stati occultati: ma a Roma hanno trasferito il cardinale che ha insabbiato tutto), grido accademico ma necessario ed appassionante. In opere così, il cinema è anche marginale: nel momento in cui il regista applica bene la formula, lo scopo è già dato. Dichiarazioni contrarie di McCarthy a parte, il film è contro la Chiesa cattolica, quella che si arroga il diritto di nascondere la verità per un bene superiore e che confonde la salvaguardia dell’istituzione con quella del suo gregge (toccante la scena in cui la vittima paffuta rivela che non è stata solo violenza fisica ma anche spirituale, nel momento in cui annichilisce la fede). È anche vero che l’invettiva è operata attraverso sottolineature discrete (sguardi su bambini, sferzate ed allarmismi doverosi) e con una veemenza per raddrizzare i torti che compensa tante convenzioni alla Tutti gli Uomini del Presidente (ma il regista ha citato Il Verdetto di Sidney Lumet). La riuscita non può dimenticare le prove attoriali, il mimetismo sui caratteri originali che, ovviamente, in Italia si perde fra doppiaggio (innanzi tutto, non c’è nessun “caso Spotlight”) e non vicinanza a quella cronaca: Mark Ruffalo batte tutti, Michael Keaton, come in Birdman, richiama un sé del passato che esiste anche filmicamente, vedere Cronisti d’Assalto.