TRAMA
Antonio, bel ragazzo, ha fama di gran donnaiolo. Una volta sposato, però, la moglie lamenta d’essere stata lasciata illibata.
RECENSIONI
Il miglior frutto della collaborazione fra Bolognini e Pier Paolo Pasolini (sceneggiatore), preceduta da opere come Marisa la Civetta, Giovani Mariti e La Notte Brava. Insieme con Gino Visentini, adattano l'omonimo romanzo (1949) di Vitaliano Brancati, l'ispiratore di Anni Difficili di Luigi Zampa (in cui Bolognini era assistente) e l'autore, nel 1941, di un'altra tragicommedia sul gallismo, "Don Giovanni in Sicilia". Il regista sposta l’azione dal periodo fascista pre-bellico agli anni cinquanta per sottrarsi alla storicizzazione dell’argomento, evita (insolitamente) la farsa, si presta alla tragedia, l’abbellisce con notevoli eleganze formali (l'ultimo primo piano di Marcello Mastroianni è in realtà un riflesso, quello dell'uomo ideale voluto da chi s'accontenta dell'apparenza), e si scaglia audace e feroce nei confronti dell'Italia corrotta (le squallide orge romane dei politici che anticipano La Dolce Vita, la connivenza colpevole ed ipocrita della Chiesa, la borghesia delle raccomandazioni, l'impero del denaro), della Sicilia maschilista (memorabili scorci di Catania), feudale e contraddittoria (fra virilità e corna), della famiglia invadente (l’insopportabile ingerenza della comunità sul rapporto di coppia) e desolante (ci si vergogna del figlio che non garantisce la propria rispettabile visibilità), del sesso femminile vittima e succube dei dettami religiosi e sociali, angelico solo nell'ignoranza del sesso (il personaggio di Claudia Cardinale), per lo più vorace (la scena in cui la suocera bacia avidamente il genero è davvero torbida…). Antonio (l’ottimo Mastroianni) vive il paradosso d'essere un oggetto sessuale agognato e allo stesso tempo impossibilitato a goderne, il suo amore "platonico", inibizione da idealizzazione dell’amata, diventa il simbolo di una purezza che la società ripudia, in quanto identifica la famiglia e la coppia solo con il "consumare", alla pari di qualsiasi altra pratica vitale/commerciale. Un argomento (il “dramma dell’impotenza”, la frustrazione dell’omosessualità) molto sentito da Pasolini, che ride amaro sotto i baffi come l’ambiguo finale, scherzo del destino che salva ciò che più conta, l’esteriorità dell’onore.
