Drammatico

I GIORNI DELL’ABBANDONO

TRAMA

Olga, abbandonata all’improvviso dal marito, precipita in una grave crisi.

RECENSIONI

Faenza si è lamentato dell’accoglienza riservata a Venezia dalla stampa italiana a questo suo ultimo film, denunciando pregiudizi e parlando della presenza in sala di tiratori scelti anti-italiani. Se è facile rispondergli che quando anche i critici nostrani fossero poco sereni nell’attaccare il suo film, il regista non si trova in una situazione più favorevole nel difenderlo (anzi), più facile ancora è stato chiedere a qualche giornalista straniero (cosa che ho fatto) il suo pensiero sull’opera in questione e accorgermi che la reazione, cambiata la geografia, non mutava di un millimetro.
Non serve leggere l’incensato romanzo dell’inafferrabile Ferrante (Fofi?) per rendersi conto che la rilettura faenziana è disastrosa. Anzi il non averlo letto ci rende ancora più distaccati e sereni nell’approcciare un film di rara sciattezza in cui il trauma dell’abbandono, che intuiamo devastante per la protagonista, viene banalizzato oltremisura: il progressivo abbrutimento di Olga, la spirale autodistruttiva nella quale viene risucchiata, sono resi in maniera contratta e del tutto inefficace, la scrittura dei dialoghi è sotto il livello di guardia, passaggi di sceneggiatura sposano con amore il ridicolo (il tentativo di amplesso sul divano tra Buy e Bregovic è caduta rovinosa, l’apparizione del cane sul palcoscenico è puro<i"> scult), i caratteri sono tratteggiati a dir poco grossolanamente, la confezione è paratelevisiva, la regia allo sbando. Personaggi appaiono senza un vero perché (la barbona) e vengono abbandonati (appunto), bambini - tra i più molesti visti di recente sullo schermo - dicono scempiaggini in libertà, il delirio ossessivo della protagonista suona come ritornello stanco e poco convincente.
Parola chiave: inadeguatezza.
La Buy si affanna ma palesa carenze piuttosto consuete per l’attore cinematografico italiano (lo dicevo per Accorsi in UN VIAGGIO CHIAMATO AMORE) ovvero la capacità a modulare solo su toni esasperati ed estremi (grida, pianti, malesseri vari) e la totale sprovvedutezza di fronte alla necessità di reggere toni medi e da normale conversazione: è su questi che si valuta la buona recitazione ed è su questi che puntualmente l’asinoa casca. Ahi.