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TRAMA
I giovani Granado, biologo, e Guevara, laureando in medicina, attraversano l’America Latina a bordo di una Norton 500 del ‘39 ribattezzata “La Poderosa”: sarà un viaggio di formazione ed, insieme, una presa di coscienza politica.
RECENSIONI
Dopo una lunghissima gestazione, ecco finalmente approdare nelle sale la trasposizione dei “Diari” che Guevara scrisse in gioventù, quando assieme all’amico Granado toccò le tappe principali del Sud America venendo a contatto con realtà diverse accomutane dal degrado, dalla povertà, dalla malattia e dal sistematico sfruttamento operato dalle compagnie nord americane e non, di stanza in Cile, in Perù. Il nostro Gianni Minà, per più di dieci anni, cercò un produttore ed un regista: provò in Italia, affidando il progetto ad Ettore Scola, ma non trovò i soldi. Provvidenzialmente, quando oramai aveva perso ogni speranza, ricevette una telefonata da Robert Redford…Salles, dimenticatosi dei disgraziatissimi voli pindarici e dei poeticismi da “mulino bianco” ad uso e consumo del pubblico occidentale del suo precedente Disperato Aprile, rimette i piedi a terra e realizza un prodotto onesto e piatto, non brutto o esteticamente fastidioso ma sostanzialmente amorfo e anodino, che non piace e non dispiace, che non commuove e non diverte. Limitandosi a mettere in quadro paesaggi di sublime bellezza (su tutti, la meravigliosa città fantasma di Macchu Picchu) e ad assecondare la forza carismatica del bravo Garcìa Bernal, il regista di Central do Brasil costruisce un road movie in cui la presa di coscienza politica è più “detta” che “mostrata”, è più enunciata che resa cinematograficamente: non basta, in questo senso, inanellare primi piani dei volti anneriti dalla fuligine dei minatori o delle mani deformate dei malati di lebbra per suggerire visivamente una metamorfosi, se poi ad essi segue, regolarmente, un siparietto pseudo comico con il simpatico Granado in veste di clown, quasi a stermperare il dramma rendendo il tutto più digeribile ed esportabile. Anche la scena apicale dell’attraversamento del fiume a raggiungere la sponda dei lebbrosi, ben fatta, poteva essere più emozionante, più tesa. Ci sarebbe voluto l’Herzog degli anni settanta…Per fortuna il folkore è contenuto, alcuni volti di indigeni incazzati trasmettono una verità autentica.