Drammatico, MUBI, Recensione

HUNGER

Titolo OriginaleHunger
NazioneU.K., Irlanda
Anno Produzione2008
Durata96'
Fotografia
Montaggio
Scenografia

TRAMA

Irlanda del Nord, 1981. Raymond Lohan è un secondino nella prigione di Maze e lavora all’interno del blocco H, dove i carcerati di fede repubblicana stanno mettendo in atto una serie di proteste per riottenere lo status di prigionieri politici: non accettano di vestire le uniformi del carcere e rifiutano di lavarsi, vivendo nello squallore e nella sporcizia. Le proteste degenerano in una rivolta che viene repressa nella violenza: Raymond viene assassinato dall’IRA e Bobby Sands, il leader dei prigionieri repubblicani, decide di intraprendere un lungo sciopero della fame.

RECENSIONI

Tre quadri, tre fasi di un discorso scabro e rigoroso intorno al sovvertimento del Potere. Tre momenti che segnalano, altresì, un processo di de-storicizzazione di un conflitto : da pagina storicamente data – il « fatto », un luogo (Irlanda del Nord), un tempo (primi anni 80) e un personaggio (Bobby Sands) determinati – a parabola sulle « fami » transtoriche. Quando il politico diviene atavico. Nella prima parte, l’autore elegge tre corpi, tre figure-simbolo a rappresentanti dei due poli dell’agone, di fatto cesella alcuni personaggi/Gruppo, fondamentalmente intercambiabili, rendendo conto del loro (re)agire e del loro essere metonicamente, per tratti e con rapide pennellate : una mano insanguinata/un volto tumefatto, delle briciole di pane/del cibo avariato etc. Un agente, l’agente ; due dissidenti, il dissidente, incarnazioni di istanze. Dal conflitto (esterno) al gesto estremo (e alla sfida a se stesso): l’annullamento di sé nella/per la lotta. I due segmenti sono separati da un (non) sintagma/cesura, l’unico momento propriamente dialettico dell’intera opera : il movimento delle idee reso con un dialogo stringente tra il ribelle e il parroco, colto in un lunghissimo piano sequenza.

Dall’azione/reazione (prima parte), dunque dal movimento dei corpi, si passerà all’annullamento di sé come atto finale (e suicida) di accusa, ad una stasi che è una « risposta » ad un interlocutore oramai assente. Il « suicida », infatti, è tragicamente solo, sempre più lontano dalle cose mondane : il dialogo c’è, ma è interiore, con i ricordi. Bobby si afferma negandosi. I volti dei genitori, dell’amata, degli altri, si confondono con lo sfondo asettico dell’ospedale : l’occhio stanco di Bobby, un incredibile Michael Fassbender, vaga nello spazio microcellulare, l’ultimo suo spazio microcellulare, attratto da oggetti o particolari (reali ?) che sembrano reificare il suo stato paradossale: leggerezza ed atarassia (una piuma volante), dolore lacerante (la « crepa » sulla parete che « conduce » al volto di una donna).
Con un rigore ed una pulizia formale invidiabili, in cui convivono coerentemente realismo estremo (una cruda e quasi insostenibile rappresentazione del « rituale » della violenza) e astrazione (la spirale di cibo avariato disegnata sulla parete di una cella),  l’esordiente Steve McQueen, artista video, non ci racconta di un martirio. Bobby, infatti, non aspira alla beatitudine, nonostante i riferimenti cristologici. Piuttosto, McQueen sfiora il miracolo riuscendo ad incorporare, nel senso di dar corpo all’idea di rivolta contro il Sistema. Forse l’unica rivolta paradossalmente non destinata allo scacco.