TRAMA
Milano. L’ingegner Colombo viene trasferito dalla megaditta per cui lavora nella succursale brasiliana di Melancias, da cui nessun dipendente ha mai fatto ritorno…
RECENSIONI
Il decimo lungometraggio di Nichetti è la più bella sorpresa di questo inizio di primavera. A cinque anni da "Luna e l'altra", il geniale regista e attore riprende uno dei personaggi degli esordi, l'ingegner Colombo di "Ratataplan", e ne fa il protagonista di un film apparentemente esile e grazioso, in realtà una bomba che non solo riesce a rileggere con sguardo sempre curioso e mai banale temi ormai logori della letteratura e dell'arte contemporanee, ma propone un'innovativa e coerente visione del mondo e del cinema, il che costituisce, probabilmente, il contrassegno dei capolavori. "Honolulu Baby" è prima di tutto una sfida all'abusata tematica del viaggio come radicale trasformazione della vita dei personaggi che lo compiono: il trasferimento del protagonista da Milano all'America meridionale è uno spostamento reale (nel senso che ha comportato lo spostamento del set dai dintorni del capoluogo lombardo alle regione spagnola dell'Almeria) ma non metaforico, poiché, se il paesaggio cambia, le persone, le cose e le relazioni rimangono identiche, non si trasformano, semplicemente si moltiplicano. Tutto, nell'universo del film, si presenta due volte, sotto aspetti speculari e opposti, come nella "Ninotchka" di Lubitsch: due viaggi, uno di punizione, l'altro di ricompensa, due colleghi di lavoro, uno cinico e profittatore, l'altro disincantato e maliziosamente filosofo, due infedeltà (di diversa entità), due automobili eternamente oppresse dall'ambiente in cui sono utilizzate; e man mano che la storia procede diviene sempre più chiaro come la naturale tendenza di tutte le cose sia quella di risolversi nel proprio opposto, in nome del più completo e palese disprezzo della logica ed indipendentemente dalla volontà dei singoli, cui spettano solo le "prime mosse" di una partita governata da un destino al tempo stesso arbitro sardonico e giocatore spericolato. Ma la cosa più notevole del film è la capacità dimostrata dal regista e cosceneggiatore di tradurre visivamente le proprie idee, creando un "mondo alla rovescia" esteticamente molto coerente: l'infedeltà coniugale acquisisce un valore paradossale e "matematico" (un solo adulterio continuato corrisponde a sei relazioni non esclusive, come teorizza uno dei personaggi), la competitività aziendale diviene un incubo alla Orwell, in cui tutti parlano una lingua impoverita e inutile e si fa carriera dimostrando conoscenze superflue e/o fallimenti professionali, l'incomunicabilità fra sessi viene schematizzata attraverso la Babele dei linguaggi (tutto il film è parlato in un idioma che mescola inglese per principianti, francese, portoghese, qualche parola tedesca e un po' d'italiano), la ribellione al conformismo si incarna in una pila di monete da cinquecento lire da distribuire ai lavavetri e in un'automobile grande la metà delle altre che si incastra alla perfezione nel parcheggio aziendale, mentre la globalizzazione assimila gli impiegati delle tavole calde a sagome di plastica e lo sfruttamento a fini pubblicitari di una "terra desolata" inizia da una catasta di tubi a duecento miglia dalla più vicina goccia d'acqua. Il gusto paradossale di Nichetti arriva al punto di concepire un'opera parlata in (almeno) cinque lingue, ma strutturata come un film muto, in cui i protagonisti volano da un capo all'altro del mondo su un aeroplano di carta e le commissioni internazionali appaiono dalle botole del pavimento. Cancellando ogni possibile distinzione fra vita e sogno, il regista ci invita ad apprezzare la "gratuità" delle forme simboliche che affollano lo schermo, suggerendoci di non cercare spiegazioni a tutti i costi, perché spesso non esistono, neppure nella vita reale. Ma quello che a prima vista sembra solo un innocuo scherzo di "stile antico" rivela una struttura geometrica imbevuta di un sorridente pessimismo, in cui tutti i personaggi sembrano all'inesausta ricerca di una risata confortatrice in grado di annaffiare la frenesia contemporanea con l'acqua (e la sangria) della vita. Perché tutto possa ricominciare da capo. Nel "cerchio della vita" tutto si ripete identico a se stesso, ma sotto mentite spoglie, e in questo sta la grandezza dell'esistenza, nell'eterna variazione della stessa scena, dello stesso personaggio, dello stesso tic. È questo il motivo per cui Nichetti rilegge tutto il suo cinema precedente, dal personaggio di Colombo alla concezione dell'attore come cartone animato, e crea, grazie agli effetti digitali (il film è stato montato e "manipolato" al computer), una realtà meravigliosamente inverosimile, uno specchio deformante in cui è impossibile non riconoscersi. Forse è questa l'autentica via del mezzo cinematografico: dal reale, verso il reale, attraverso l'astrazione. Cast (artistico e tecnico) meraviglioso: citare qualcuno sarebbe fare torto a tutti gli altri. Andate a vedere il film e leggetevi i titoli di coda.