Horror, Recensione

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NazioneItalia
Anno Produzione2023
Genere
Durata90’
Sceneggiatura
Montaggio

TRAMA

Il padre di Rachel è morto. La madre Carol la costringe ad andare nel bosco a suonare un osso che apre le porte con l’aldilà per permettergli di tornare. Rachel crede a tutto: è cresciuta in una casa dove la madre le fa anche da insegnante e non conosce nessun altro.

RECENSIONI

Andrea Niada, nato a Milano ma cresciuto a Londra, esordisce nel lungometraggio ampliando l’omonimo cortometraggio di laurea del 2016, apprezzato in molti festival e distribuito su varie piattaforme, fra cui Vidiverse di Alex Proyas, qui produttore esecutivo. Ambientata nei boschi della Sila con il contributo della Calabria Film Commission, è una fiaba nera con stampo autonomo sorprendente nello stantio panorama horror internazionale: un horror psicologico a basso costo inquietante e d’atmosfera fra riprese aeree e note orrifiche di Andrea Boccadoro, capace di evitare forzature e di puntare sull’ottima prova della giovane Lydia Page (Niada è anche laureato in ‘Theatre and Performance’). Pensato come un prodotto di consumo internazionale (ma, nella versione doppiata, l’ambientazione in Italia è straniante, non precisando che i protagonisti sono inglesi), con nome di richiamo della protagonista Julia Ormond, dimostra talento per scrittura semplice ed efficace (la magia dei dettagli: quando Rachel fa il verso della pecora al cervo morto), idee (un soggetto esoterico-pagano che richiama Lucio Fulci, fra thriller bucolico e ...E Tu Vivrai Nel Terrore! - L'Aldilà) e sobrietà (data dalla preponderante ambiguità: immaginazione o realtà?) anche nei colpi di scena, nei sentori macabro/necrofili e negli sprazzi incubali. Soprattutto, Niada sa raccontare utilizzando principalmente le immagini e non affidandosi alle sole parole. Segnaliamo due difetti di pochissimo conto: il suono dell’osso “evocativo” che esagera nel sembrare un grido infernale e il mutamento finale dell’atteggiamento della madre, senza consona maturazione o dirompente epifania che lo giustifichi (prima ossessionata dalle idee del marito, poi redenta nel non crederci più). Intriga il contesto allegorico di una genitrice che educa la figlia al culto del padre scomparso ed è perturbante questo disegno di madre possessiva e manipolatrice (esemplare la scena in cui mette uno contro l’altro i due giovani) quando poi, a sorpresa, il vero mostro è quello che ha allevato.

 

Intervista ad Andrea Niada

In che modo hai ampliato il tuo cortometraggio di Laurea del 2016?

In realtà, ho scritto prima il lungometraggio: ho realizzato il corto perché la scuola che frequentavo allora avrebbe potuto co-finanziarlo con un budget di 4.000 sterline (in totale, è costato circa 12.00 sterline). La mia speranza era che, realizzandolo, se avesse avuto un riscontro positivo, avrei potuto farlo come lungometraggio come preventivato.

L’endorsement di Alex Proyas è stato considerevole anche sui social: qual è stato il suo ruolo da produttore esecutivo?

Proyas aveva visto il mio cortometraggio e, nel 2022, sapendo che stavo provando a trasformarlo in lungo, mi scrisse offrendomi il suo aiuto. Nei mesi successivi mi ha aiutato sia da un punto di vista creativo, sia avendo un ruolo fondamentale nel coinvolgere Julia Ormond, la nostra Carol.

Per quali vie traverse, tu nato a Milano e residente a Londra, sei finito a collaborare con la Calabria Film Commission?

Ho fatto molte stesure della sceneggiatura: inizialmente era ambientato, come il corto, nella campagna inglese. C’è stato anche un periodo in cui abbiamo pensato di girarlo negli Stati Uniti, paese in cui la sceneggiatura aveva suscitato parecchio interesse ma, alla fine, il feedback che continuava a tornarmi indietro era che il film era troppo particolare, troppo art-house ma non abbastanza mainstream. In Inghilterra invece, è difficile trovare supporto per le opere prime, soprattutto horror. Avendo ancora un passaporto italiano e avendo un agente anche in Italia, ho conosciuto la Indiana Production, che è entrata in co-produzione con BlackBox qui a Londra. Insieme hanno fatto applicazione per i contributi pubblici selettivi a fondo perduto. Abbiamo avuto la possibilità di ottenere molte opzioni, cosa che ci ha sorpreso dato che la sceneggiatura era in inglese: l’ho adattata al suo svolgimento in Italia e non mi restava che scegliere in quale regione girare, nell’ottica anche di trovare la location giusta. All’inizio pensavamo di girare in Trentino ma non è andato tutto in porto: comunque volevo la Calabria perché lo ritengo un luogo mistico ma anche oscuro, disabitato e picaresco, e sarebbe stato ancora più strano che una famiglia inglese vivesse proprio lì. Le riprese sono state impegnative: quando è subentrata la Warner Italia per la distribuzione siamo dovuti partire in fretta, con tre settimane di preparazione e senza location. Poi abbiamo trovato un tempo infame. Abbiamo cominciato il 15 maggio dell’anno scorso e terminato l’11 giugno: ha piovuto tutti i giorni e ha pure nevicato. 

A proposito di questo: ho visto la versione doppiata in italiano e si capisce che siamo in Italia, anche se non è mai dichiarato. I nomi dei personaggi e i titoli dei libri all’interno della casa sono però in inglese. Eppure non viene mai spiegato che sono stranieri.

Parte di una scena, in cui questa cosa veniva spiegata bene, è andata persa. Nella versione italiana questo aspetto s’è perso ulteriormente, perché abbiamo dovuto modificare delle battute dove era sottolineato che le protagoniste parlano in inglese e non conoscono l’italiano: sarebbe stato assurdo farle parlare in italiano per poi ribadire che non lo conoscono. Ad esempio, nella prima scena al supermercato della versione in inglese la cassiera parla in italiano e Carol si rifiuta di farlo, in quella italiana no.

Colpisce la tua padronanza nel dirigere le recitazioni, soprattutto quella di Lydia Page. 

Io inizialmente volevo fare l’attore e ho studiato ‘drama’ a scuola da quando avevo otto anni, poi ho fatto Teatro all’Università ma l’amore per la scrittura ha infine prevalso.

Per quanto siano state le circostanze a farti girare in Italia, il tuo soggetto e la sua ambientazione ricordano Lucio Fulci, “...E Tu Vivrai Nel Terrore! - L'Aldilà” e “Non si sevizia un Paperino”. Perché hai scelto il genere horror e quali sono i tuoi autori di riferimento? 

“Non si sevizia un Paperino” non l’ho mai visto ma conosco “...E Tu Vivrai Nel Terrore! - L'Aldilà”: se ci sono dei riferimenti nel mio film non è però voluto. Ho sempre amato il cinema dell’orrore: nel mondo anglosassone vederlo è come un rito di passaggio quando sei ragazzino. Mia madre era appassionata di Hitchcock e me lo ha fatto vedere fin da piccolo: quando ho scoperto i thriller e l’horror mi si è aperto un mondo. Ho ancora vivido il ricordo di quando ho visto per la prima volta “Gli Uccelli” o “La Finestra sul Cortile”: quel senso di angoscia e d’ignoto. Mio padre, invece, amava Dario Argento. Per quanto ami fare cinema horror, guardo anche altro e il mio film preferito è “The Rocky Horror Picture Show”, adoro David Lynch ma anche David Cronenberg e John Waters ma anche tanto cinema underground asiatico, come quello di Sion Sono. In generale, il cinema fuori dalle righe: amo l’assurdo. Nel teatro, Ionesco e Artaud: cose in cui c’è sempre un assalto al pubblico. Ad Artaud ho pensato quando mi sono inventato il suono dell’osso. C’è voluta questa unione fra Inghilterra, Italia e Australia per fare un film su questa linea per quanto microscopico a livello di budget: horror psicologico con un pizzico di commedia nera come da tradizione inglese.

Prossimi progetti?

Ci sono diversi nuovi progetti all’orizzonte ma mi sto prendendo del tempo per decidere quale idea sarà la base del mio prossimo lungometraggio. Sto scrivendo sceneggiature che possano essere prodotte in Inghilterra o in America. Ho co-scritto una serie antologica con Dario Argento basata su un suo libro di racconti. Sto anche co-scrivendo uno script di un altro film inglese ambientato in Italia ma che non dirigerò io.