
TRAMA
Sceso da “Tre metri sopra il cielo”, Step ritorna con i piedi per terra a Roma, dopo due anni negli Stati Uniti. Saranno ancora amici, conflitti familiari, vecchi traumi, ex incombenti, ma soprattutto un nuovo, ovviamente grande, amore.
RECENSIONI
Tre metri sopra il cielo ha mitizzato il vuoto di una generazione spacciando l'esteriorità di gesti e situazioni per giovinezza. Con il prevedibile seguito, a tre anni di distanza, la fiera dei luoghi comuni continua. Al grido di "A 'bbelli!!!" l'eroe del primo film, il taciturno e proletario Step, torna a Roma dopo due anni di cazzeggio in America, ma la sua ex altolocata è ormai in procinto di sposarsi con un altro e lui, ignaro e meditabondo, vaga imbronciato pensando a cosa fare della sua vita. Non certo lavorare, anzi, i soldi sembrano arrivare da non si sa bene dove e un ambito posto in tv viene rifiutato e proprio per questo conquistato. Il conflitto di classe, comunque, pennellato blandamente nella prima puntata, non interessa più a nessuno, ciò che conta sono i palpiti del cuore e l'appeal degli interpreti. Ecco quindi il neo-mito Riccardo Scamarcio e la lanciatissima Laura Chiatti con la loro tormentata storia d'amore, entrambi meglio dei personaggi che incarnano. Sul primo, soprattutto, vera e propria icona delle ragazzine, il film pare costruito, con una sequela di primi piani da far impallidire Tom Cruise in Mission Impossible: in moto (con e senza casco), che fuma, al taccheggio, in versione fast and furios all'amatriciana, in lacrime, irruento, sorridente (poco, però, per non intaccare l'aura di scontrosità che il mito deve sempre avere) e, ovviamente, col cuore in fermento. Ma non c'è amore degno di essere raccontato senza un corredo, ritmatissimo, di ostacoli. E così ecco la malattia della mamma, il ricordo dell'amico morto da celebrare, ma soprattutto la ex, che ritorna a infiammare l'ormone. In un'unica notte tutti i nodi verranno al pettine e il tradimento inferto (su una illuminatissima spiaggia del litorale romano, per la gioia dei guardoni) troverà espiazione nel lutto in famiglia e pure nell'amica bruttina-ma-tanto-simpatica semi violentata dal trucido di turno. L'apoteosi del senso di colpa evidenzia i limiti maggiori della regia di Luis Prieto, indaffarata a oliare la vicenda con mestiere ma incapace di dare adeguato sfogo alle situazioni, di costruire una "climax" in grado di trasmettere gli eventi oltre che farli succedere. Sequenza emblematica, in tal senso, quella dell'incontro tra la ex dell'amico defunto e Step. In poco più di due minuti si passa dalle chiacchiere (il massimo della profondità sono dialoghi tipo "Che cosa ci porteremo dietro di tutti questi anni? Ma che ne so! Cambia tutto così velocemente!"), a un abbozzo di seduzione (ovviamente da parte di lei), alle lacrime e al tentato suicidio. Tutto, pare, deve accadere subito, per evitare che il teen-ager si distragga e torni a poggiare i polpastrelli sul suo cellulare dalla suoneria "fichissima". Ma è davvero così? Veramente i ragazzini si sentono rappresentati da questi amori noiosissimi e possessivi dove non si parla mai di niente, non ci si guarda mai intorno e un sentimento è tanto più vero quanto più è urlato? È veramente tutto così superficiale e privo di conseguenze emotive? Caro teen-ager, non ti senti un po' preso per il culo? Non ti sembra di assistere a una parodia della tua sfumata complessità, a un teatrino di quello che altri hanno deciso che devi essere, a una serie di etichette messe ordinatamente in fila? Inutile, comunque, infierire su un progetto costruito a tavolino, con malcelata furbizia, per compiacere il pubblico adolescenziale a cui si rivolge. Resta il fatto che, così come un cartone animato, la cui destinazione primaria sono i bambini, può dare nutrimento a un pubblico di ogni età, perché Ho voglia di te pare avere impressa una data di scadenza invalicabile?
