Grottesco, Recensione

HIMIZU

Titolo OriginaleHIMIZU
NazioneGiappone
Anno Produzione2011
Genere
Durata129'
Sceneggiatura
Tratto dadall'omonimo manga di Minoru Furuya
Fotografia

TRAMA

Adolescenti nel post-Fukushima: sopravvivenza tra detriti e apocalisse delle anime.

RECENSIONI

Pervaso da detriti, Himizu, trasposizione del manga di Minoru Furuya, adeguata in itinere allo scenario post Fukushima, non è un’opera di formazione, quanto un film di rinascita. Un invito a rialzarsi, un appello a rinvigorire una tensione perennemente frustrata, sconfortata dalle numerose vie tentate e poi fallite, infine accennata, raggiunta. Come a parlare, in una metafora di chiarezza disperata, della situazione giapponese, come a fare del personaggio principale, l’adolescente Sumida, l’incarnazione di un Paese. Un Paese che anela alla normalità, consegnato invece, costantemente, alla tragedia. Nell’incipit, un carrello in requiem tra le rovine di un realissimo paesaggio post-apocalittico, si muovono tre personaggi, residui tra i residui, che da quel teatro di morte pare proiettino la storia a seguire. Una storia dalla densità simbolica soffocante, dai toni parossistici sino al fastidio, dove non c’è nulla da sussurrare, solo da urlare: una generazione che invita la successiva al suicidio (con ovvia necessità conseguente del parricidio), genitori servi del capitale che degradano i figli a merce, ultimi che invece soccorrono gli ultimi, in una solidarietà tra marginali che placa e redime il cieco individualismo (non è più tempo di eroi) nel restauro di valori conservatori dimenticati. Il cotè allegorico è esposto sino ai nervi (e non sarò io a darvi il risultato di 1+1). Himizu, insieme al proprio protagonista, si agita epilettico alla ricerca della propria dimensione, film che percorre strade interrotte, ritorna sui suoi passi, reiterandosi in un mantra snervante e insostenibile, ballo scomposto sulle tracce delle proprie cadute che giunge, infine, a un possibile risveglio dall’incubo, a un’ipotesi di stabilità. Un teen movie dai toni grotteschi che copulano con la parodia (interrompendo costantemente il coito), abitato da una violenza fisica e psicologica radicale e difficile da digerire, innervato da un’esasperazione a cui non ci si riesce mai ad abituare. La maniera sfuggente e sovversiva di Sion Sono (tra il fumetto e la nouvelle vague, tra Imamura e Miike, tra il gore più truce e la stilizzazione pop art)  trova, qui, una necessità reale e contigente. E pare la veste più aderente allo stato emotivo di un Paese.