TRAMA
La famiglia Nuvolone alle prese con il funerale della nonna. La contorta esistenza del professor Cagnato, afflitto da un figlio timido e insicuro. La famiglia Vecchiarutti-Sessa in vacanza a Taormina.
RECENSIONI
Ecco il frutto delle preghiere dei fan adoranti (cui si saranno verosimilmente aggiunte le ragioni assai più pressanti del produttore De Laurentiis): non un film a episodi, ma tre cortometraggi che nulla unisce, se non il protagonismo feroce di un Verdone più enfatico che mai. Non si ripete l'exploit trash de Il mio miglior nemico, ma non siamo lungi dalla piattezza assoluta. Il primo film è una barzelletta già troppe volte raccontata (Leo viene da Un sacco bello, ma è impossibile non riconoscere in lui i tratti di tanti altri "candidi" verdoniani, dal Carlo di Io e mia sorella al Giovannino di Viaggi di nozze), retta da una sola idea registica (Verdone che dà la voce a tutti i maschi Nuvolone) e dal brio di Geppi Cucciari, mentre gli altri spunti (dalla veglia funebre in umido al fanatismo religioso del capofamiglia) sono liquidati in tutta fretta o si risolvono in ammiccamenti tanto insistiti da risultare molesti. Le cose vanno un po' meglio nel secondo corto, che ritrova il professor Cotti Borroni di Viaggi di nozze e lo trasforma in pedante storico dell'arte, puttaniere esemplare e padre da interdizione (la vittima sacrificale è Andrea Miglio Risi, più disinvolto e meno canino rispetto alle Lezioni di volo archibugiche). Qui purtroppo il regista non osa spingere sino in fondo il pedale del grottesco, limitandosi a confezionare un raccontino ben impaginato ma privo di genuina cattiveria e autentica disperazione (e poco importa che Verdone riesca a ritagliarsi la sua scena di bravura, quella del "boccaglio"). Il prefinale fa presagire - finalmente - una zampata all'altezza del viscido personaggio e del lugubre décor, ma è fallace speranza. E dopo due siparietti che sembrano il dazio da pagare per raggiungere la durata standard del lungometraggio e permettere la circolazione del film nelle sale, arrivano i "truzzi", e la musica cambia, almeno in parte. Moreno ed Enza (parenti stretti, se non eredi diretti, di Ivano e Jessica, ancora da Viaggi di nozze) e il loro figlio Steven sono i personaggi che Verdone tratteggia meglio, senza sconti ma senza accanimento: marziani in crisi familiare, calati per caso (meglio: per soldi) in un'oasi naturale e storica in cui regna l'eleganza, vogliono dimenticare quello che sono e quello che hanno, si sforzano di essere all'altezza delle proprie chimere e finiscono per verificarne l'inconsistenza (e, in un caso, la venalità). Niente di trascendentale, come si vede, ma sostenuto da un discreto senso del ritmo, dialoghi salaci (la visita al Teatro Greco), un pugno di belle invenzioni (lo studio dello psicologo, i saluti cartolineschi, lo sfacciato product placement che deride e mortifica i marchi che snocciola, il finale mélo) e un cast sommamente azzeccato, Gerini in primis (notevolissimi il suo guardaroba e la sua danza del ventre). Peccato per la liaison fra il giovinetto "diffidato" e la working girl, davvero superflua (per non dire altro). Insomma, Verdone Carlo è sveglio, ma si applica il meno possibile. Segue media aritmetica.(4,5½,6)