TRAMA
Kenny Wells (Mattew McConaughey), desideroso di realizzazione personale e professionale, parte alla ricerca dell’oro. Lo trova, diventa miliardario, ma per la vecchia storia per cui non è tutto oro quello che luccica, la situazione subirà un drammatico sviluppo. Ispirato a una vera storia di truffa mineraria degli anni ’90.
RECENSIONI
L’oro: febbre, estasi, titolo e colore del font in locandina. Intorno all’ossessione dell’oro ruota questo thriller che recupera una sceneggiatura vacante nella Black List hollywoodiana raccontando un’altra storia di ascesa e declino nel tentativo di costruirsi un futuro con le proprie mani, un futuro a sei zeri, chiaramente. E’, dunque, quello messo in scena, un discorso americano a pieno titolo –appunto- che, nonostante i tentativi di drammatizzazione del substrato emotivo che muove la ricerca, primordiale, a mani nude, folle e a tratti disperata del prezioso metallo, non riesce a trasmetterne la potenza di archetipo, sinonimo del sogno che diventa realtà, estratto dalla madre terra come promessa di felicità che giace nei suoi impervi panorami tropicali rocciosi e lussureggianti, e resta un thriller di impostazione classica, sviluppi e esiti prevedibili -l’amore coniugale smarrito nei miliardi, la femme fatale di turno, il ritorno all’ovile, i sogni di gloria ridimensionati dalla realtà, il conforto dei valori autentici al di là dei sogni di gloria e altra nota retorica ben sceneggiata, ben filmata, ma niente che non sapessimo già, a parte l’interessante scandalo minerario che coinvolse la società canadese Bre-X Minerals Ltd. del gruppo Bre-X nel 1993 cui il film si ispira-.
Il –bravo- caro vecchio sex-symbol McConaughey ha una partenza sulla falsariga dell’irripetibile Mark Hanna di The Wolf of Wall Street, poi perde i capelli e ricorda piuttosto il Christian Bale sovrappeso e con riporto di American Hustle (“L’Apparenza inganna”, precisa la versione italiana di quest’ultimo, che, insieme a “La Grande Truffa” che accompagna Gold, sono da aggiungere alla collezione dei titoli didascalici italiani che svelano il contenuto di un film prima di vederlo, soprattutto se sotto c’è un inganno di qualche tipo.)
Così Stephen Gaghan, già regista di Syriana (2005) e, prima ancora, sceneggiatore di Traffic (Soderbergh, 2000), firma un film dalla buona confezione classica, più intimistico che avvincente, incentrato su un’idea di riscatto personale che passa attraverso l’oro come sogno, materia, utopia e contraffazione e il cui merito sta sostanzialmente nel ritratto profondamente umano, folle, risoluto, sciocco e fallibile del protagonista.
Da segnalare: la mise di Conaughey in mutande e t-shirt degli Iron Maiden nella giungla indonesiana e la breve presenza di Bill Camp, attore di vecchia data, teatrale e cinematografico, noto ultimamente per il bel ruolo dell’ispettore Dennis Box nella miniserie HBO The Night Of (2016).
