Monografia

Lucky McKee

Edward Lucky McKee è nato a Jenny Lind, California, nel 1975. Fra il 1993 e il 1997 frequenta il “Film writing program” alla School of Film-Television della University of Southern California.


Dopo un esordio (All Cheerleaders Must Die, 2000, con cheerleaders-zombi) uscito direttamente in homevideo e diretto in coppia con l’amico Chris Silvertson (di cui produrrà, nel 2006, The Lost), McKee firma in proprio nel 2001 May (che contiene anche un corto di Silvertson, Jack and Jill, con due innamorati che si mangiano l’un con l’altro), opera di culto con Angela Bettis, attrice-feticcio che tornerà nel successivo, personale progetto Creatura Maligna. La Bettis interpreta una ragazza che ha vissuto un’infanzia solitaria a causa del proprio strabismo, avendo come unica amica una bambola (Suzy) custodita in una teca. Un’opera bizzarra e sorprendente, che parte come tragicommedia incentrata sul dramma della solitudine, con protagonista timida e vittima del mondo che la circonda: con un montaggio molto elaborato, fatto di scene brevi e insert quasi subliminali, McKee però cerca sempre il controcampo sugli occhi tristi e inquietanti della bambola, trasmettendo allo spettatore una perenne irrequietezza, mentre si dipana il tema fondante del plot, che disquisisce sull’ipocrisia dei “normali” che vogliono sembrare eccentrici (l’aspirante regista di horror che ama Dario Argento, il punk, la collega lesbica attratta dal sadismo) e inorridiscono a contatto con la vera stranezza (May), non cercata o pretesa. Pizzichi del primo, grottesco Solondz, di Wes Anderson, ma ancor più di un filone che cerca la poesia nell’orrore dei Freaks, nella morbosità e nella mostruosità quando naturale conseguenza di un vissuto, di cui le più note esponenti sono pellicole come Kissed della Stopkewich e Harold e Maude di Ashby. Il “mostro” è osservato con amore, senza giudizio, nella consapevolezza che c’è un posto al mondo per tutti. Ma, in un crescendo inatteso, l’opera di McKee diventa anche un esaustivo trattato sulla nascita della follia omicida, stile Taxi Driver: il vetro della teca della bambola si crepa, la mente di May va in pezzi. In una scena da antologia, insieme liricamente simbolica e agghiacciante, i bambini di una scuola per ciechi sentono una “presenza” che è fuoriuscita e, se non è Suzy in veste soprannaturale, è May che si è trasformata in Suzy. Quest’ultima inizia a cercare una compagna, un’altra bambola, un mostro di Frankenstein costruito con le “qualità” delle persone che May ha incontrato fino a quel momento.


Notato dalle major, McKee è “assunto” per dirigere Il Mistero del Bosco (The Woods), opera evidentemente su commissione che, in qualche modo, il regista riesce a piegare alla propria poetica, nobilitando un horror di genere convenzionale nei modi se non nel racconto. L’eroina è Heather, che sente delle voci nell’isolato collegio femminile dove i genitori l’hanno “abbandonata”. Scopre che, molti anni prima, tre streghe fecero un rito per donare al bosco le anime delle collegiali. McKee ripropone una protagonista disturbata (piromane) anche se, purtroppo, la sceneggiatura di David Ross preferisce concentrarsi sulla “maledizione” e il mistero del racconto anziché sul suo trauma, finendo per rincorrere scene plateali in cui diventano protagonisti gli effetti speciali. McKee imprime il proprio marchio dove può, disegnando inquietanti figure (tutte le insegnanti) con quel suo tocco personale che abita i confini del grottesco, non cadendo, al contempo, mai nell’errore di palesarne troppo la malvagità: la figura più agghiacciante, in questo senso, è quella della direttrice del collegio, una fantastica Patricia Clarkson, comprensiva, perspicace, ma…Cita anche i suoi maestri, fra Bruce Campbell che torna vittima dei rami de La Casa di Sam Raimi e le tre streghe di Suspiria. La sceneggiatura non ama le ambiguità (non si gioca fra la potenziale schizofrenia della protagonista e i segnali abnormi della maledizione soprannaturale), preferisce la linearità di rituali, sacerdotesse e vittime sacrificali, ma McKee non si accontenta di una messinscena grossolana, gioca bene con la tensione, il mistero e gli ingredienti più bizzarri. Non può e non vuole fare Picnic ad Hanging Rock (David Ross s’è ispirato a uno strano avvenimento occorso nel 1965, un collegio bruciato con gli alberi intorno intatti), o un altro May, ma fa miracoli con il materiale corrivo sotto mano. Purtroppo per lui, l’opera è rimasta nel cassetto per tre anni, iniziata nel 2003 e uscita solo nel 2006, causando una battuta d’arresto alla sua carriera.


Nel 2006 Mick Garris, riconosciuto il talento di McKee con i fotogrammi di May, gli dà carta bianca per un episodio del suo Masters of Horror, e il giovane autore lo ripaga con un’altra gemma, Creatura Maligna (Sick Girl), sempre con Angela Bettis nel ruolo di Ida, entomologa omosessuale che ha una tale passione per gli insetti da tenerli come animali da compagnia anche in casa. S’innamora di una ragazza strana quanto lei che, però, viene punta da una mantide brasiliana e inizia a comportarsi in modo folle. Una geniale allegoria della repulsione verso i diversi, una commedia nera impostata dal regista proprio come May, cioè prima come opera buffa (horror) stile anni ottanta, poi (nella miglior tradizione di pellicole felicemente disturbate anni settanta) concentrata a descrivere la tenerezza amorosa fra esseri eccentrici/mostri tim-burtoniani, infine atta a far esplodere, dirompente, l’allegoria horror. Le protagoniste femminili di McKay fanno mestieri anomali (May disseziona animali, Ida studia gli insetti), sono alla ricerca dell’amore ma trovano la follia, conquistano per quanto impacciate, anticonformiste, adorabili, ma l’odio di cui sono oggetto precipita sempre gli eventi. In questo caso la relazione “anomala” si fa trio, con l’insetto terzo incomodo e un altro insert-corto bizzarro, un sogno con tecnica mista di disegni e live action. Ancora svolte geniali, sia tematiche che iconografiche, per un talento che speriamo davvero non resti vittima dell’indifferenza critica o dei risultati altalenanti al botteghino.