TRAMA
Una strana famiglia di supereroi, prima costretti alla clandestinità, poi di nuovo idoli della folla.
RECENSIONI
Questa “normale famiglia di supereroi” rappresenta una svolta nel cinema della Pixar, e non solo perché segna il congedo con la casa madre Disney: è, di fatto, il primo blockbuster di animazione digitale della casa fondata da John Lasseter. Abbandonati i microcosmi che costituivano realtà parallele somigliantissime ma altre rispetto alla nostra (quella dei giocattoli, delle formiche, dei mostri dell’infanzia, della fauna ittica), protagonista del racconto è una famiglia di superuomini costretti a vivere in clandestinità, dietro ordine del governo. Smesse le tute attillate disegnate da una stilista che sembra un incrocio tra Coco Chanel e Linda Hunt (doppiata con garbo ed ironia da Amanda Lear nella versione italiana) e repressi i poteri sovrumani, il signor Incredibile e moglie (ex Elastic Girl) cercano di adattarsi ad una vita borghese comune sposando lo stile ed i modi Wasp: il primo opta per un modesto posto in una compagnia d’assicurazione e accetta di essere tiranneggiato dal solito zelante capo ufficio; la seconda diviene un angelo del focolare, casalinga tutta crinoline e vestaglie di chiffon che attende il marito curando la casa ed i pargoletti, il più piccolo dei quali deve ancora manifestare i propri poteri. E’ nella descrizione di questa forzata prigionia, nella rappresentazione della condizione del “diverso” plus habens imbrigliato negli ingranaggi di una società uniformante che gli autori danno il meglio di loro, inserendo tra le pieghe di un racconto tradizionale elementi di critica al sistema tutt’altro che banali, quasi da spy story paranoica anni ’70. La figlia adolescente dark, dagli occhioni da cerbiatta e dalla chioma scura e liscia, costituisce una singolare ed imprevista apertura al “gotico” di ascendenza burtoniana e quasi commovente è la trasformazione del potere dell’invisibilità in sublime metafora della condizione/desiderio di dissolvimento propria di quell’età di transizione. Splendidamente funzionale risulta la scelta di collocare il racconto a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, vale a dire in piena guerra fredda, quasi negli stessi anni in cui le guerre in Corea ed in Vietnam avrebbero fatto tramontare gli ultimi idoli/eroi mostrando tutta la fragilità di una superpotenza non onnipotente. Tale contesto fornisce il pretesto agli autori per una catalogazione “iperrealista” del sistema degli oggetti dei dorati Sessanta: i ninnoli e le cianfrusaglie, le auto e gli abiti, l’architettura razionale, tutto rivisto, riletto, ricreato col senno del poi. Dagli scenari familiari e minimalisti che paiono prelevati dal cinema mieloso della “fidanzatina d’America” Doris Day, si passa poi al campionario di diavolerie high tech che costellano la seconda parte del film, quella in cui i protagonisti abbandonano le maschere sociali per reindossare quelle del supereroe. Tra citazioni fumettistiche e cinematografiche più o meno obbligate (da Spiderman a 007), la satira dolce lascia il posto alla pura avventura, in un tripudio di effetti e di situazioni estreme appartenenti al codice genetico del genere, qui riproposte in chiave parodistica non senza eccedere in fantasmagorie ed inseguimenti da playstation che, alla lunga, potrebbero annoiare lo spettatore meno disposto a farsi stordire.

Superpoteri con superproblemi moltiplicati per quattro. E' infatti su una famiglia di supereroi che si sofferma l'occhio curioso della Pixar (agli sgoccioli nel binomio con la Disney): madre elastica, padre indistruttibile, figlio velocissimo e figlia invisibile e capace di creare campi magnetici. C'e' pure un neonato, ma non ha ancora avuto modo di scoprire le sue peculiarita'. Gia' dal soggetto e' subito evidente il rischioso salto compiuto dalla Pixar: l'accesso al mondo antropico. Per la prima volta, infatti, non abbiamo a che fare con animali o oggetti inanimati, ma i protagonisti assoluti sono esseri umani, un po' sui generis ma pur sempre umani. La sfida, superata piu' che brillantemente dal punto di vista tecnico (ancora qualche saltuario stridore solo nella resa di peli e liquidi) e con la consueta cura per il dettaglio, si rivela pero' un boomerang, in quanto accende un altro interrogativo: perche' ricorrere alla computer grafica e non utilizzare attori in carne ed ossa? La domanda sorge spontanea seguendo gli sviluppi del copione, sempre ben strutturato ma meno originale del solito, che finiscono per confondere le avventure degli "Incredibles" con quelle, viste e straviste, di tanti supereroi in formato famiglia alle prese con il difficile connubio tra vita privata e pubblici eroismi: dalla trilogia di "Spy Kids" alle duplici avventure degli "X-Men", senza dimenticare "I fantastici quattro" (a breve su grande schermo), dalla cui prosapia la famiglia della Pixar sembra discendere. E' quindi con meno entusiasmo che si seguono le avventure di sintesi dei personaggi, a livello visivo stupefacenti ma narrativamente un po' troppo convenzionali per infiammare. Chissa', forse il peso di dover piacere a una platea sempre piu' mondiale si e' fatto sentire, o magari il progetto ha risentito anche delle tensioni interne con la Disney, oppure e' proprio il regista e sceneggiatore Brad Bird ("Il gigante di ferro") ad avere nelle sue corde solida professionalita' ma scarsa ironia, sta di fatto che "The Incredibles" delude un po' le aspettative. E non solo perche' si ride di meno, ma perche' la sceneggiatura costruisce caratteri azzeccati (tranne il cattivo poco carismatico), conflitti forti, ma riduce le attraenti premesse a botti ed esplosioni messe a tacere grazie all'immancabile potere salvifico della famiglia, ovviamente unita. Un'interpretazione perniciosa potrebbe addirittura riscontrare un messaggio pro-bellico nella necessita' di legittimare a tutti i costi la difesa nei confronti di un nemico potente ed armato, ma forse e' troppo per quello che si configura soprattutto come un film di puro svago. E l'intrattenimento, pur senza appassionare, funziona."L'agnello saltarello", corto in rima abbinato al film, e' invece proprio bruttarello.

Chi è Brad Bird? La prima domanda da farsi mi pare questa. Abituati a 'spersonalizzare' i film animati, ci si dimentica troppo spesso che a scrivere e dirigere un cartone c'è qualcuno in carne, cervello ed ossa e non genericamente la Pixar, la Disney o la Dreamworks. Data questa semplice ma necessaria premessa si capirà forse più facilmente perché Gli Incredibili è decisamente 'meno bello' di Toy Story (1 e 2), Monsters & Co., o dell'imprescindibile Finding Nemo: perché il writer&director de 'Gli Incredbili' Brad Bird non c'entra niente con Toy Story, non ha scritto né diretto Monsters&Co. e ha presumibilmente visto Nemo solo al cinema o in DVD. Dunque, resta evidente ma solo potenziale la volontà di creare una continuità tematico/'ideologica' coi precedenti film della Pixar, da ricercarsi soprattutto nell'incontro ordinario/stra-ordinario e nel voler affrontare problematiche quotidiano-fami(g)liari mentre si finge di parlare di 'altro', ma tutto rimane a un livello decisamente superficiale e forzato, poco convinto e convincente. Stanton e Unkrich, gli artefici dei precedenti successi Pixar, avevano (hanno) con tutta evidenza una sensibilità superiore, e hanno dimostrato di saper tenere i piedi in molte staffe senza perdere in qualità e coesione; il buon Brad Bird (già regista de Il gigante di ferro e di alcuni episodi dei Simpson) fa quello che può, confeziona alcune gag efficaci, dimostra buona mano nelle sequenze più spettacolari e movimentate, ma si rivela scrittore poco più che sufficiente, divaga, non ci risparmia lungaggini e vuoti narrativi, fatica a portare a termine senza cali di tensione un dipanarsi tramico dal minutaggio sovradimensionato. Forte, invece, il family feeling tecnico/estetico 'pixariano', che stavolta proietta nel mondo della consueta, ineccepibile CG un immaginario di forte ispirazione sixties.
