
TRAMA
Giovanna d’Arco, giovane contadina francese, viene incaricata da Dio, di salvare la Francia dall’invasore inglese. Diventata scomoda al potere costituito, dopo le sue innumerevoli vittorie, verrà fatta cadere nelle mani degli inglesi. Processata per eresie verrà condannata al rogo nella piazza di Rouen nel maggio del 1431.
RECENSIONI
Dopo l'indigeribile "quinto elemento", Besson ritenta la strada della megaproduzione con risultati di nuovo pessimi. Già le premesse non sono le migliori: affrontare un tema così delicato, problematico e complesso con piglio epico-eroico e grandeur effettistico-scenografico. Il risultato è questo magniloquente filmone che in sostanza risulta sbagliato da qualunque punto di vista lo si osservi, a cominciare dalle caratterizzazioni dei personaggi: una scialba galleria di stereotipi (il re fifone e meschino, il guerriero rozzo ma fiero e coraggioso ecc. ecc.) immersi in una vicenda trattata in maniera semplificata e schematica. Dicotomica e fumettistica risulta l'opposizione inglesi-cattivi vs. francesi-buoni che non conosce sfumature di sorta, addirittura inaccettabile l'elemento scatenante della "vocazione battagliera" di Giovanna, quello stupro post mortem messo lì per indignare e rendere partecipi della sete di guerra della pulzella. Come giudicare quest'ombra di "vendetta privata" che da quel momento in poi aleggerà su tutto il film? Giovanna stessa è rappresentata in maniera opinabile, una sorta di invasata nevrotica ossessionata da visioni più ecstasyche che estatiche e lacerata sporadicamente da dubbi religiosi che sembrano farsi vivi solo alla visione di un po' di frattaglie o di teste e arti mozzati. Il film procede così, tra battaglie, grand guignol e disarmanti scivoloni umoristici (la Nostra che, strappatasi una freccia dal petto, dice: "questa non ci darà più fastidio" e s'addormenta…) fino al momento del processo e dell'entrata in scena di Dustin Hoffmann versione Coscienza che tormenta la poveretta con interrogativi senza risposta dietro ai quali è davvero arduo scorgere un fine ultimo o un perché; lasciano solo interdetti, perplessi ma a un livello molto superficiale e non, c'è da scommetterci, nel modo in cui avrebbero voluto Besson e il suo cosceneggiatore. Infine ecco il rogo che giunge, dispiace ammetterlo, come una liberazione ma quasi inatteso, al termine di un ridicolo processo-farsa (in tutti i sensi) per uno di quei finali che sanno terribilmente di "tirato via". Si salvano solo il mestiere (ma Besson non voleva essere un Autore?) con cui sono girate le scene di battaglia e, forse, la prova degli attori, non foss'altro per l'impegno e l'abnegazione con cui si sono prestati all'operazione. Davvero inutile e ingrato, dunque, scomodare gli illustri precedenti di Dreyer, Bresson o Rossellini, qui il termine di paragone più immediato è l'eroismo da Oscar di "braveheart" col quale è impossibile non scorgere preoccupanti affinità ma che, alla fin fine, risultava un polpettone meno pretenzioso, più onesto e, perché no, coinvolgente. E ho detto tutto.
