TRAMA
Nel 1944 Allen Ginsberg , Jack Kerouac e William S. Burroughs erano studenti come altri alla Columbia University. A farli incontrare fu uno studente implicato nell’omicidio di David Kammerer, insegnante di inglese e istruttore di educazione fisica presso la Washington University in St. Louis.
RECENSIONI
Il soggetto offre molte opportunità perché consente di entrare nella Columbia University degli anni ’40 e incontrare Allen Ginsberg, Jack Kerouac e William S. Burroughs prima che diventassero simboli della ribellione di una e più generazioni. È con questo approccio dal basso che il giovane John Krokidas (classe 1973) riesce a non farsi intimorire dal carisma dei suoi personaggi e a mettere in scena un film che, soprattutto nelle premesse, ha tutte le caratteristiche del teenager-movie: il bisogno di realizzazione personale dei protagonisti, di distinguersi dagli altri scoprendo una propria individualità, il battere delle pulsioni che pongono scelte non sempre reversibili, la necessità di sperimentare e di tuffarsi nella vita protetti dall’aura della giovinezza.
Aspetti cui Krokidas, anche co-sceneggiatore, dà risalto cercando di limitare gli eccessi e le caricature. Non semplice riuscirci, e in più di un’occasione l’icona che i personaggi rappresentano prevale sul quadro d’insieme (gli eccessi di Kerouac, l’introversione di Ginsberg, l’irrazionalità di Burroughs), tra fumi di ogni tipo, litri di alcool e musica jazz. Il personaggio intorno a cui ruota la vicenda è però quello che poi è scomparso dalle scene, il carismatico Lucien Carr, l’unico del gruppo a non diventare una celebrità, un ragazzo in fuga da se stesso e dalle convenzioni che funge inizialmente da traino per gli altri.
Dopo una prima parte in cui la progressione è rappresentata da piccole tracce di consapevolezza che gradualmente modificano il punto di vista dei personaggi, il film vira un po’ bruscamente verso il fatto di cronaca, realmente accaduto, quindi necessario per la comprensione del racconto, ma un po’ stridente con la piega intimista, e in fondo anti-spettacolare, della narrazione. Ecco quindi irrompere l’omicidio, con le sue conseguenze giudiziarie, che distrae dall’evoluzione psicologica dei personaggi. Nel cast si distinguono Daniel Radcliffe, in trasferta definitiva da Harry Potter e più espressivo delle aspettative, un Michael C. Hall che fatica invece a scrollarsi l’etichetta di Dexter (vittima anche del personaggio più superficiale, quello dell’amante ossessivo), ma soprattutto la visceralità di Dane DeHaan, molto più di una giovane promessa.
Con una certa apprezzabile moderazione, un po’ in contrasto con l’afflato rivoluzionario delle vicende narrate, il racconto cerca una strada personale, prova ad aggirare le facili macchiette, si barcamena tra diversi generi evitando la semplificazione delle etichette (dal noir al dramma alla commedia), cerca l’originalità (l’irrompere della musica contemporanea per rimarcare la temerarietà dei protagonisti), ma non va oltre il compito svolto diligentemente. E lo spirito di libertà di cui si vorrebbe far portatore per le nuove generazioni arriva meno trascinante delle intenzioni. Ha vinto la sezione “Giornate degli autori” al Festival di Venezia dove è stato presentato dopo la prima mondiale al Sundance 2013.