TRAMA
È la storia di tre donne che uccidono i rispettivi mariti: uno nella vasca, uno in mare e uno in piscina. È una favola nera e ironica per adulti, in parte inventata da bambini innocentemente ossessionati dal sesso e dalla morte. Specialmente della morte. È un racconto poetico e amorale, raccontato moralmente per ribadire la convinzione che i buoni sono raramente ricompensati, i cattivi rimangono spesso impuniti e gli innocenti sono sempre vittime.
– Peter Greenaway
RECENSIONI
Il cinema è come un gioco dalle regole complicate. Scopo del gioco è riuscire a sospendere l'incredulità. Il pubblico è stato bene allenato da un'ottantina d'anni di pratica. Condizioni imprescindibili sono l'oscurità, un proiettore e uno schermo. Il pubblico accetta di entrare in un locale buio e mettersi a sedere rivolto in una direzione. È disposto a rimanere seduto un paio d'ore - di solito la sera.
- Peter Greenaway
Da 1...
Il film è scandito da un conteggio che va da 1 a 100: i numeri compaiono progressivamente, a volte solo nominati, quasi sempre inseriti nelle scene in modo gratuito. È la struttura evidente che Greenaway sceglie per mostrare il carattere artefatto dell’opera cui stiamo assistendo: arrivati a 50 siamo a metà del film, entrati nei 90 sappiamo che esso volge al termine (PG «La narrazione è lo scheletro interno, la numerazione è lo scheletro esterno. La narrazione rappresenta le libere scelte dei personaggi, mentre l'implacabile conta numerica i limiti della libera scelta. (...) Un film è una costruzione artificiale regolata dall'uso che il regista fa del tempo»). Il 100, quale numero chiave e ordinativo, è menzionato fin dall’incipit: la ragazza con la corda (ritaglio vivente del quadro Las Meninas di Diego Velázquez) conta le stelle e si ferma a 100 perché dopo, dice, è inutile continuare, esse sono tutte uguali: prendere in considerazione una piccola porzione per rappresentare il tutto è quello che Greenaway fa sempre (nel primo lungometraggio, The Falls, il regista parte dall’idea che la storia del mondo - o dei mondi che si vogliono raccontare - debba essere la somma delle storie dei suoi singoli abitanti/personaggi: così, avendo a che fare, in quel caso, con buona parte dell’umanità, prende in considerazione 92 persone il cui cognome comincia con Fall, nella consapevolezza che nessun campione è davvero attendibile). In questo caso, fin dal principio il 100 è dichiarato come misura arbitraria della narrazione, la ratio del mondo che l’autore mette in scena. Che è quello della sua infanzia, mitizzato e «amarcordizzato» (i nomi delle stelle sono in parte inventati - c’è anche Muriel, il film di Alain Resnais, e Branca, il Glenn autore dello score di Il Ventre dell’architetto, o Vierny, il collaboratore-mentore, direttore della fotografia del film, e ancora personaggi di film passati e da venire - Kracklite e Spica -). La stessa Cissie Colpitts (qui una e trina) è un personaggio che si ritrova in opere precedenti (riapparirà in Le valigie di Tulse Luper), mentre Smut è l’autoritratto del regista da cucciolo: non fa che contare e scattare fotografie (più chiaro di così…).
- Smut, cosa fai?
- Conto i peli del cane.
- A che scopo?
- Per sapere quanti ne ha.
Quello dei numeri è un elemento fondante che il titolo originale mette bene in evidenza: Drowning by Numbers altera l’espressione drawing by numbers (il giochino delle riviste di enigmistica che permette di disegnare figure unendo con la matita i puntini numerati), sostituendo la prima parola con drowning (affogare), riferimento alla modalità degli omicidi che punteggiano la narrazione. Titolo intraducibile anche per come condensa il discorso ludico con quello del delitto, suggerendo implicitamente il genere a cui il film appartiene, la commedia nera. Giochi nell’acqua, attraverso uno schema ternario e ricorsivo (tre uxoricidi “acquatici” perpetrati da tre donne - nonna, madre e figlia: si chiamano tutte e tre Cissie Colpitts e sono probabilmente la stessa persona in età diverse -) si propone come una riflessione sul landscape e sul modo in cui i pittori inglesi l’hanno drammatizzato; una favola adulta creata da due bambini («La Ragazzina con la Corda inizia la storia, il serio Smut la finisce - forse tutto ciò che sta in mezzo è solo frutto della loro immaginazione»); una collezione di giochi ed enigmi che guarda a Lewis Carroll; un campionario di passioni personali (gli elenchi, la curiosità intellettuale, il collezionismo, gli insetti - che sono il cibo degli uccelli: l’ornitologia era la passione del padre del regista -); un catalogo di canzoni, filastrocche e aneddoti popolari inglesi che si incarnano nella scena sotto forma di personaggi palesemente inventati (la Nancy “che si fa chiamare Nell” viene da una canzone; Bellamy prende il nome dalle ultime parole famose di William Pitt: «Mangerei volentieri uno dei pasticci di carne di Bellamy»; il nome di Hardy viene da «Kiss Me Hardy» e dalle maliziose interpretazioni che suscitarono queste parole pronunciate dall’ammiraglio Nelson durante la battaglia di Trafalgar - «Kismet Hardy?» - eccetera). Il ruolo rilevante attribuito ai giochi è anche un modo per il regista di riferirsi a norme, discipline, conformismi a cui si consegnano facilmente i britannici, al «loro mascherare, nascondere, ritualizzare, sublimare, sviluppare nuovi modi di affrontare i rapporti umani secondo un sistema di regole e approcci che, se non sono tutti definitivamente codificati in un manuale d'istruzioni, sono almeno riconosciuti grazie all'uso e alla consuetudine. Ciò può essere segno di grande civiltà, oppure indizio di stitichezza emotiva».
E comunque Giochi nell’acqua (col senno di poi) non è solo un omaggio alle proprie radici, ma anche un congedo dal paesaggio inglese che aveva dominato la sua produzione precedente (comprendo anche i corti) e che non si vedrà più in seguito (anche il natio Galles di Tulse Luper, nel film del 2001, è pura ricostruzione in studio).
«Da bambino assomigliavo molto a Smut, con la sua precocità e la sua paradossale falsa modestia. Il suo nome rimanda a una quantità di significati della parola. Uno di questi, “polverone spazzato dal vento”, allude a quanto i bambini siano preda delle macchinazioni del mondo adulto. Se Smut nel film sembra affascinato dagli insetti e dalla morte, questo proviene dalla mia infanzia, quando facevo collezione di insetti, finché non mi sono reso conto che era una forma di attività venatoria in miniatura e allora ho smesso».
Che questo mondo inverosimile, fantasioso e tutto consegnato al gioco abbia il suo demiurgo in Smut non ce lo dice soltanto la sua voce fuori campo con la quale descrive i giochi, ma anche il modo in cui anticipa e suggerisce l’esito della storia (il Gioco della Presa del Morto finisce con tutti i personaggi maschili nel sudario e solo le tre Cissie in piedi).
Ho più volte sottolineato il legame che intravedo tra il cinema di Wes Anderson e quello di Peter Greenaway: Moonrise Kingdom, come scrivevo in sede di recensione, è un po’ il Giochi nell’acqua di Wes Anderson (almeno quanto Grand Budapest Hotel è il suo Le valigie di Tulse Luper). A ben guardare, Smut e la Ragazzina della Corda (come lo saranno Sam e Suzy di Moonrise) sono i classici prodotti di famiglie disfunzionali: Madgett è un padre-amico sostanzialmente deresponsabilizzato e Smut un figlio abbandonato a se stesso («la maggior parte delle voci della sua enciclopedia riguardano giochi solitari»); la madre della Ragazzina è una prostituta che accoglie i suoi clienti sotto gli occhi della figlia, una bambina che finge di non vedere, si rinchiude nel suo mondo, si acchitta come una bambola paradossale, narrandosi di vivere in una favola dove ogni sera è invitata a qualche festa straordinaria.
Film che ingabbia la complessa congerie di riferimenti in una struttura molto leggibile, Giochi nell’acqua si bea del suo evidente artificio in maniera più spudorata e meno sfuggente di Lo zoo di Venere, quasi patisce consapevolmente la sua pedanteria irrigidendo il quadro su figurine chiarissime, schemi ricorrenti, tre delitti identici (cambiano le modalità, ma non lo schema: le Cissie uccidono i rispettivi mariti, il coroner copre il delitto nella speranza di ottenere favori sessuali, le donne la fanno franca), significati arcani (le oscure logiche dei giochi) e palesi (le dilaganti nature morte), musiche che aderiscono alla costruzione filmica (le variazioni sulla Sinfonia Concertante di Mozart create da Michael Nyman), messa in scena anti-emozionale e di fissità pittorica, manipolazione in chiave anti-naturalistica dell’ambientazione naturalistica, costanti autoriali (il corpo umano, l’acqua, i riferimenti alla storia dell’arte - da Mantegna a Bruegel -) che già ammiccano alla maniera (e infatti dal film successivo, Il cuoco, Il ladro, sua moglie e l’amante, Greenaway, restando se stesso, cambia tutto).
Giochi nell’acqua è anche la dimostrazione di come, cambiando i tempi, di certi film possa mutare la percezione: all’epoca ci ammorbarono con la storia della misoginia. Oggi in queste donne che hanno sempre il controllo della situazione e manipolano l’uomo facendo leva sul suo ottuso soggiacere alla voluttà, si potrebbe leggere una rivalsa alla #metoo (e probabilmente il regista sarebbe d’accordo: le donne sono delle assassine, d’accordo, ma la contropartita che Madgett richiede per il suo silenzio non è un ricatto che prevede sempre una ricompensa “in natura”? E cissie, oltre al nome delle donne, non è anche un riferimento al loro essere solidali, alla loro sorellanza?). Del resto il catalogo delle fantasie sessuali di 8 donne e ½ (altro film che fece bollare Greenaway come misogino) non era una rappresentazione dell’immaginario maschile come campionario stereotipato e patetico? E lì, come in questo film, le donne non ne uscivano trionfanti e gli uomini sconfitti innanzitutto per la loro inanità e mediocrità?
...a 100