TRAMA
Nella Berlino bombardata, la vita di una famiglia affamata che manda un dodicenne a cercare cibo.
Quando le ideologie si discostano dalle leggi eterne della morale e della pietà cristiana, che sono alla base della vita degli uomini, finiscono per diventare criminale follia. Persino la prudenza dell’infanzia ne viene contaminata e trascinata da un orrendo delitto ad un altro non meno grave, nel quale, con la ingenuità propria dell’innocenza, crede di trovare una liberazione dalla colpa.
Didascalia iniziale
RECENSIONI
Dall'Italia antifascista alla Germania in ginocchio, il cinema di Roberto Rossellini non cambia: la voce fuori campo precisa che l’opera non vuole essere un atto d'accusa verso i nazisti, ma uno sguardo sulla realtà per accompagnare i bambini tedeschi, immersi in una rovina fisica e psichica, verso la speranza. Coraggiosa e umanitaria la scelta a caldo (è un “istant movie” nella migliore tradizione neorealista, con attori non professionisti e ambientazioni originali) di riservare la pietà anche per gli oppressori vinti, se la loro sofferenza è speculare a quella di chi avevano soggiogato. L’autore ricalca struttura e dinamiche di Roma Città Aperta, mantiene quello sguardo (e finale) tragico, quei toni pessimistici a tratti sin troppo enfatici (le ridondanti note di Renzo Rossellini), quello stile rivoluzionario ma frammentario nel momento in cui, intento a condurre il messaggio trascurando il lirismo del conturbante racconto (al contrario di ciò che avrebbe fatto Vittorio De Sica), s’inerpica su di una drammaturgia poco fluida, compatta, misurata (per stessa ammissione dell’autore, interessato solo all’episodio del bimbo tra le rovine, probabilmente a causa della morte, l’anno prima, del suo primogenito Marco Romano). Il modo di fare cinema di Rossellini veste meglio opere corali (per loro natura disarmoniche) come Paisà o totalmente incentrate su di un tema ed una figura (Stromboli), dove basta una scintilla del magistrale impatto drammatico di cui è capace a dare intensità, fino alla sua trasfigurazione, al soggetto. Brani memorabili: il “pedinamento zavattiniano” nel finale che è, in realtà, pura e struggente attesa rosselliniana (il j'accuse al maestro da cui prende le mosse, però, è privo di fondamento logico e non persuade nemmeno il movente dell’omicidio); il dettaglio sul modo ambiguo con cui il nostalgico nazionalsocialista tocca i bambini, generazione da plasmare per il futuro; la scena in cui s’ode il vinile con la propaganda di Hitler nel luogo in cui è perito: un passante si ferma stupito mentre la macchina da presa spazia sulla Distruzione (il palazzo in rovine), unica proiezione futura possibile della follia di quelle parole.