TRAMA
Uno sconosciuto abbandona un infante nelle braccia di suor Caterina, che s’industria per rintracciarne i genitori.
RECENSIONI
La cifra stilistica più caratteristica del cinema di Piccioni, la sequenza senza sonoro del profilmico, diventa "musica dell'anima" in questa che è una delle sue prove più convincenti ed intense, cucita ancora una volta addosso alla grande presenza scenica di Margherita Buy. Tre dolorosi percorsi di maturazione s'intrecciano in una trama che non teme la leggerezza della commedia e l'inclinazione verso il sentimento, anche a costo di precludersi risultati di maggior peso artistico. Piccioni non ha il talento di Kieslowski, e rischia di perdere il controllo di alcune velleità linguistiche (le "foto ricordo" dei gruppi di lavoro; le interviste; le soggettive sfuocate) ma pennella, a tu per tu con gli ottimi protagonisti (qualche riserva invece sulle prove degli interpreti nei ruoli minori), tre "anime in pena" pregne di significato, pronte a rimettersi in gioco pur di spezzare l'isolamento in cui vivono. Suor Caterina non trattiene la propria voglia di maternità, a costo di peccare di orgoglio: la madre le ricorderà quanto può essere egoistico il rapporto con i figli. Nella grigia esistenza del rigido imprenditore Ernesto (Silvio Orlando) entra uno spiraglio di luce con il senso di colpa prima (che risveglia la coscienza) ed il miraggio della paternità poi (che dà un senso alla vita e sospende la solitudine). Il personaggio di Teresa è quello che, nelle sue motivazioni, è dato più per scontato: sarà invece un mezzo per insegnare alla religiosa (una figura speculare: entrambe sono in fuga) che nessuno va mai giudicato troppo presto. Si sorride, ci si commuove e si corre a divorare soprappensiero (come Orlando nella scena finale) una tavoletta di cioccolato, stimolati (se non del tutto appagati) dalla visione.