Commedia, Recensione

FULL FRONTAL

TRAMA

Los Angeles: le 24 ore di vari personaggi. Si incontreranno per la festa di compleanno del produttore Gus il cui ultimo film narra dell’incontro amoroso tra un attore di colore e una giornalista tv.

RECENSIONI

The Great Pretender

Soderbergh, questo strano e antipatico animale, ormai un piccolo boss del cinema (pseudo)indie, torna alle origini con un film a basso budget (ma pur sempre Miramax) che si regge sull'idea (alquanto stantia) del cinema che ritrae se stesso dicendo di stare a ritrarsi. Questa spirale truffauttiana, una sorta di giostra vorticosa di onanismo sentimentale e mentale, prima ancora che cinefilo e cinematografaro, ha il suo merito nel non limitarsi alla mera operazione e nel nutrire la struttura (auto)autoreferenziale con storie rese con drammaturgia accettabile e dialoghi non solo pretestuosi, il suo limite nel non andare al di là di questo e di compiacersene alquanto. Il meccanismo (meta)metacinematografico si esalta nel film che viene realizzato (RENDEZ VOUS, di cui vediamo i titoli all'inizio) e in cui l'attore di colore, intervistato dalla giornalista Julia Roberts, parla della sindrome che affligge gli interpreti afro nei film hollywoodiani, quella per la quale costoro non possono essere amati (il tutto in un film che vedrà lui, enunciatore dell'assunto, avere un ruolo di amatore con la giornalista stessa, bianca per giunta). Giochini si dirà, certo, e di giochini si tratta in una messa in abisso dei piani rappresentativi e finzionali (anche il piano primario della messinscena, alla fine, verrà svelato come set cinematografico) che suona risaputa per quanto non del tutto gratuita, ammettiamo. Di contorsione degna di miglior causa, FULL FRONTAL è meccanismo di scatole cinesi che si aprono, che vorrebbe essere riflessione sul film come prodotto e come oggetto artistico ma che si rivela indagine fin troppo facile sulla corruzione industriale del cinema (il produttore Gus, ritratto come una sorta di dio che segna le esistenze di tutti gli altri personaggi) laddove i risultati migliori li raggiunge nei ritratti minimi, in alcuni passaggi più secchi e disinvolti di un'intimità disincantata altrimenti sconosciuta all'autore. L'inevitabile mistura di registri visivi, con grande scialo di macchine a mano e inserti video, è banalmente e didascalicamente volta a separare i livelli sui quali il film opera. Sodebergh, the great pretender.

When West Goes East

Soderbergh ci prova, lasciando da parte i celebrati modelli hollywoodiani che lo hanno reso popolare e guardando ad oriente (ad un certo cinema europeo, come l’ultima fatica del Bertolucci-bis), consegna nelle feroci mani della critica continentale un meta-meta-film un po’ pretenzioso e scontato. Certo, la fattura è sempre ottima e il cast eccellente, ma il gioco di specchi è troppo sottolineato, troppo evidente e compiaciuto per essere veramente accattivante. Il risultato è che il cammeo di Terence Stamp (passavo di lì) e l’insistenza sullo sfruttamento dell’immagine di Brad Pitt – al quale è consegnata l’ultima, fulminante battuta del film – risultano più autocompiacimento che storytelling. Più che un film sperimentale, quale aspira essere, Full Frontal sembra un’appendice di Ocean’s Eleven, con parte del cast che continua a prestarsi a qualsiasi cosa per un vecchio amico. Se il racconto delle vite ordinarie di persone semi-stra-ordinarie sembra attraente al principio – dai bei titoli di testa, con i personaggi del meta-film presentati da schede spietatamente sintetiche – la riflessione scende leggermente nel patetico, mostrando amori e riconciliazioni, al primo o al secondo grado di finzione. Il terzo grado è invece consegnato al siparietto comico che, inutile dirlo, funziona e fa sorridere (moderatamente, ma con eleganza). Degne di nota sono invece le figure quasi invisibili, raccontate con una noncuranza snob, come Hitler attore teatrale montato e succiasangue, oppure come Dracula mitomane che porta fuori la spazzatura e controlla la posta. Se Soderbergh sia capace di farci riflettere, questo è tutto da vedere; eppure, c’è sicuramente una differenza fra bere la birra dal bicchiere o dalla bottiglia. E’ come stabilire se si è anali od orali.

Il frontale del mappamondo

Opera esibita, quasi "pornografica" se richiamiamo una gag che contiene. Un esercizio di stile "ostico" come l'erezione di Duchovny/Gus, il deus-ex-machina (è un produttore!) delle storie che s'intrecciano per poi soffocare in mancanza di ossigeno, in assenza di senso, alla ricerca di una (di)mostrazione capricciosa. Il "Full frontal", più che mettere a nudo il cinema con un film sul making-of di un film, è il frontale di un cane con un'automobile: la bestia, barcollando, si rialza e pretende, indifferente, di riprendere a camminare (una bella allegoria presa a prestito dal canovaccio). Soderbergh si scontra con i propri miti cinefili e li ripropone in un labirinto semantico che finge di fingere la leggerezza e l'improvvisazione, spavaldo ma intellettualistico, sperimentale ma accademico, moderno ma in ritardo. L'Effetto Notte (la Roberts con i capelli di Jacqueline Bisset) rincorre Il Disprezzo, dimenticando sia la passione di Truffaut sia il fecondo cerebralismo di Godard: la prima parte s'accontenta di ostentare il basso budget del digitale in luce naturale, l'intraprendenza di un autore che trascina le star in un film indipendente, l'ammiccare compiaciuto al critico snob che va (dovrebbe) andare in brodo di giuggiole con i dogmi di Lars Von Trier, la naturalezza delle recitazioni, il montaggio pseudo-amatoriale, le infinite citazioni, il sottile sottotesto, la (finta) umiltà di chi, con due o tre spiritosaggini, non si prende sul serio. Nel film del film nel film, Soderbergh entra in campo nascondendo il proprio volto (ingegnosa provocazione) e quasi invita il pubblico ad andarsene dopo i titoli di testa, che non sono quelli di "Full frontal" ma quelli di "Rendezvous" (abbiamo sbagliato film?): autolesionista. I più avvezzi al meta-cinema autorale si annoiano, gli altri sonnecchiano sospesi nella struttura Schizopoliszata ed episodica, cercano invano dei personaggi "vivi" invece che "veri" perché mostrati nella loro finzione: la seconda parte pare ritrovare Sesso, Bugie e Videotape ma li (lo) perde in un party alla L'Inglese (cameo di Terence Stamp). Dietro i titoli di coda restano, gratuiti e velleitari, Brad Pitt (assassino?) e l'allegoria dell'attore hitleriano impegnato in un faulkneriano (?) "The sound and the Führer". L'arte di Soderbergh si specchia, volutamente (sarebbe geniale) o meno (comunque sterile), negli aspetti negativi dei suoi personaggi: come la responsabile delle risorse umane che imita Il Grande Dittatore, gioca pesante con un mappamondo troppo leggero perché non gli sfugga di mano; come il creativo della rivista che viene licenziato, scambia la perdita di un eccessivo autocontrollo per idee fulminanti. Sbatte, full frontal, contro se stessa.