Drammatico, Recensione

FREAKS

Titolo OriginaleFreaks
NazioneU.S.A.
Anno Produzione1932
Durata64'
Tratto dadal racconto di Tod Robbins “Spurs”

TRAMA

La maggiore attrazione di un circo ambulante sono gli esseri deformi. Il nano Hans si innamora della trapezista Cleopatra che, in realtà, lo sta circuendo solo per denaro.

RECENSIONI

Un film “maledetto” più dal pubblico che dalle sue cifre stilistiche e, per questo, caso più unico che raro per le sue implicazioni sullo sguardo e la coscienza della finzione. Dal punto di vista di Tod Browning, è il coronamento di una poetica aliena di lungo corso: si ispira ad un racconto (1923) di Clarence "Tod" Robbins, scrittore alla base anche del precedente Il Trio Infernale; è ambientato nel mondo circense in cui il regista si formò e in cui amava inscenare tragici triangoli d’amore; porta avanti i suoi apologhi su deformità esteriore ed interiore, le sue esplorazioni del lato oscuro e violento. Ma, a differenza delle opere precedenti con Lon Chaney, che assecondava l’autore nei trasformismi mostruosi, Browning volle a tutti i costi veri fenomeni da baraccone, non calcolando la portata dello iato fra ciò che per lui faceva parte di un’esperienza di vita (il “Freak show”) e il meccanismo attrattivo/repulsivo dello spettatore. Dopo le reazioni sconcertate all’anteprima, il produttore Irving Thalberg ritirò la versione originale di 90’ (perduta) ed asportò scene ilari (atte a familiarizzare con i freaks) e/ma disturbanti, immettendo un prologo con imbonitore e modificando il finale di vendetta (Cleopatra mutilata, Hercules evirato). Servì a poco (il film fu osteggiato, bandito, rimaneggiato) perché il punto era un altro: non venne letto come un film horror, come lui sperava. Nel momento in cui lo spettatore realizza che non c’è trucco, è posto di fronte al (proprio) orrore, ad uno specchio in cui non solo prova istintivamente disgusto, ma deve gestire anche il senso di colpa nel farlo, immedesimato con i crudeli personaggi “normali” del racconto, contro cui i “diversi”, infine, si scagliano. Nell’arte affabulatoria, solo la finzione è permessa, a prescindere da ciò che si racconta o mostra. Reazione comoda: accusare il regista di strumentalizzare gli esseri deformi. Browning, invece, li ritrae con naturalezza e senza i pregiudizi dell'effetto curiosità o quelli dell'ipocrita tatto pietistico. Nella contrapposizione fra purezza del sentimento dei “freaks” e veri mostri (la scena del banchetto di nozze è emblematica), ha l’ardire, punito senza pietà, di porre lo spettatore di fronte ai propri limiti, invitandolo a superarli, prescindendo dall’aspetto.