
TRAMA
L’ambizioso Victor Frankenstein tenta di creare la vita, assemblando parti di cadavere: le conseguenze saranno terribili.
RECENSIONI
Premessa: è impossibile ricostruire sullo schermo una vicenda come quella uscita dalla penna di Mary Shelley senza tradirne, almeno in parte, la ricchezza tematica e stilistica. Il “Prometeo moderno” immaginato da una ragazzina (al momento del primo abbozzo l’autrice aveva 18 anni) non è solo il ritratto del controverso abito intellettuale, misto di entusiasmo per la “nuova scienza”, arroganza “meccanica” e timore ancestrale, che contrassegna un’epoca come il primo Ottocento, in precario equilibrio tra l’affievolirsi dei lumi della ragione ed il furibondo avvento delle istanze romantiche: è un’analisi lucida e partecipe di amori, invidie, bisogni ed eccessi profondamente umani, un formidabile meccanismo di tensione, forse il primo scary novel della letteratura contemporanea, tra Poe e Stephen King, certamente uno dei più alti risultati del romanzo gotico di ogni tempo, che ha dato origine ad innumerevoli copie, parodie, rielaborazioni, tanto da costituire un vero mondo a sé, a tal punto rivoluzionario da divenire un luogo comune dell’immaginario collettivo.
Di fronte a tanta complessità, non resta (apparentemente) che una dolorosa, decisa “potatura”, che focalizzi l’attenzione dello spettatore solo su alcuni aspetti della vicenda del dottore ginevrino. Kenneth Branagh, “primo attore giovane” che utilizza il set come un gigantesco palcoscenico in grado di veicolare attraverso le immagini la potenza del testo (e se si tratta di Shakespeare è la soluzione ideale), firma un allestimento in cui ogni dettaglio è eccessivo, frenetico, tecnologico: ricostruzione d’epoca accurata ma volutamente abbozzata (enormi stanze vuote, ingressi e scaloni spogli e sontuosi, cupe distese di ghiacci, toilette femminili di lusso e moderatamente osé, coreografie impeccabili di durata microscopica), fotografia patinata, incessante accavallarsi di inquadrature montate a ritmo travolgente, musica d'effetto, prevedibile ad esempio nel ricorso a suoni aspri, improvvisi, per sottolineare un’apparizione che si vorrebbe “a sorpresa”, recitazione istrionica (al regista e a De Niro, la Creatura, non riesce difficile, gli altri annaspano un po’), e così via. Certamente l’intento di svecchiare il materiale, aderendo al romanzo (pur con le semplificazioni del caso) e sgombrando il campo dagli stereotipi di Frankenstein al cinema (lo scienziato pazzo nel castello diroccato), produce uno spettacolo insolito, bello da vedere e innegabilmente coraggioso: ma manca, in questo film, la miracolosa mescolanza di rispetto per il testo, ironia, incanto e spirito goliardico che rende irresistibili i film di Branagh da e su Shakespeare (ad esempio Hamlet e Nel bel mezzo di un gelido inverno), e, alla fine, il tutto risulta troppo ingessato, scarsamente meditato e (forse) sentito. Elegantissimo e algido come una passerella di alta moda.
