Animazione, Apple Tv+, Biografico, Documentario, Drammatico

FLEE

Titolo OriginaleFlugt
NazioneDanimarca, Svezia, Norvegia, Francia
Anno Produzione2021
Durata83'

TRAMA

Amin, accademico di successo, sta per iniziare un nuovo capitolo della sua vita sposando in Danimarca il suo fidanzato, Kasper. Ma i fantasmi del tormentato passato continuano a perseguitarlo.

RECENSIONI

Sono due le scene di Flee destinate a restare maggiormente impresse nella memoria, ed entrambe hanno a che fare con la Russia. Nella prima il protagonista Amin, dopo aver assistito all'inaugurazione del nuovo McDonald's, viene arrestato dalla corrotta polizia locale e caricato su una camionetta. La sua salvezza coinciderà con la tragedia di qualcun altro, nello specifico di una spaventata ragazza che verrà sequestrata dalle forze dell'ordine con conseguente rilascio degli altri immigrati in stato di fermo. La seconda rievoca invece il primo fallimentare tentativo di fuga via mare verso la Svezia, tra buio, terrore e caos, con una resa estetica che si spinge fino all'astrattismo. Impressionano e spaventano per il loro impatto visivo, ma non solo; si tratta infatti di due sequenze in cui il racconto dell'esperienza soggettiva si unisce perfettamente alle istanze del documentario, della cronaca. Non siamo abituati a vedere la realtà – a maggior ragione se traumatica – in forma di cartone. Il lavoro di Jonas Poher Rasmussen gioca molto su questo elemento: Flee è un'animazione perché il disegno permette di essere molto più espressivi, perché così si crea una rispettosa e giusta distanza dalla vicenda raccontata ma anche e soprattutto perché col tratto animato si entra in modo quasi automatico e inconscio in un territorio fortemente correlato all'onirismo, alla rappresentazione non per forza lineare e non necessariamente obiettiva delle cose.

Pensiamo a Valzer con Bashir (Folman, 2008), ma anche volendo al più recente Apollo 10 e mezzo (Linklater, 2022), che ricreano la vita da un lato facendola coincidere con l'incubo – surreale, psichedelico, allucinato – di un ex soldato israeliano e dall'altro portandola a livello di magia, fantasticheria a misura di bambino, associata alla corsa americana allo spazio degli anni '60 e '70. I film di Folman e Linklater sono animati perché non potrebbero essere altrimenti, il disegno non è un optional formale ma una parte fondamentale, un espediente che si integra al tessuto della narrazione. E il discorso vale anche per Rasmussen, che per raccontare l'incredibile esistenza di Amin non opta per un'impronta fedele fino ai minimi dettagli o per il rotoscopio caro a Linklater. Le immagini in Flee sono fluide, duttili, spesso imperfette e prossime allo schizzo. Eppure non ci sogneremmo mai di definirle irreali. Del resto “Che cos'è il realismo? Di fronte a una domanda tanto complicata, c'è chi risponde che non esiste uno stile che sia intrinsecamente legato al realismo, che questo sia piuttosto un effetto testuale, quasi una saetta che scatta da una nuvola in presenza delle giuste cariche. È una questione di sguardo più che di tecnica. Flee fa sua questa posizione, rinunciando al mimetismo e, forse proprio per questo, raggiungendo un iperrealismo emotivo in grado di essere all'occorrenza crudo e tenero, ma sempre votato a una commovente sincerità” (Riccardo Baiocco, Sentieri Selvaggi, 10 marzo 2022).

Torniamo alla questione dello sguardo: incassando gli elogi di critica e opinione pubblica per il contenuto, la cura del contesto storico e la rappresentazione LGBT, Rasmussen ha sempre sottolineato come non avesse intenzione di realizzare un'inchiesta sui rifugiati. Lui voleva fare una storia sul suo amico, che conosceva da anni, spinto dalla curiosità di sapere come fosse finito in Danimarca. Questo è lo spunto: l'amicizia. Il resto è venuto dopo, ha preso forma man mano che la testimonianza di Amin si arricchiva di dettagli sull'infanzia a Kabul, l'adolescenza clandestina a Mosca, la scoperta della propria sessualità e la difficilissima ricerca di un'identità. C'è un ritmo naturale e un senso di scoperta in queste rievocazioni, come se Amin stesse ancora elaborando mentre parla, e le conversazioni tra lui e Rasmussen hanno un senso persino terapeutico. Flee, al di là di qualsiasi definizione, è un film nudamente personale, umano e complesso. Un tributo. Ci sentiamo onorati di poter entrare nella stanza con Amin e Jonas, anche se in versione animata, osservando intimamente una storia che fino a quel momento era stata per lo più repressa. Il film si fa da sé, e con la medesima naturalezza invita inevitabilmente a ragionare sul bisogno e il diritto di ognuno di trovare un proprio posto nel mondo, in cui poter essere infine se stessi. Un posto da cui, finalmente, non sia più necessario fuggire, negando la propria stessa esistenza.